È il mondo del passato -ma soprattutto quello degli anni Sessanta- ad essere ingerito. Peccato che la digestione perduri fino ai nostri tempi. Il boccone risulta quindi troppo grande da inghiottire, col risultato di una masticazione lenta, che consente ad ogni pezzo di essere trito e ritrito. Quella di Lorenz Spring (Uster, 1964) è un’avidità ingorda. Mai sazia. Che si ingozza di stili e tendenze del secolo appena trascorso. Che non getta il passato alle ortiche, ma che ne mutua, fagocitandoli voracemente, i motivi ed i caratteri. Nel menu, in una mixture di astrazione, figurazione e graffitismo, la portata più gettonata è fuor di dubbio la pop art. Non poteva inevitabilmente mancare, quindi, come ciliegina sulla torta, l’accattivante hot dog. In questa prima personale italiana, in cui sono esposti i lavori degli ultimi dieci anni, Spring si presenta come un figlio di quell’american generation che fa del proprio mito Rauschenberg (accanto a Baechler, Basquiat , Hockney, Kitaj e Thiebaud). Ad essere messi in risalto, sublimati alla stregua di magnetiche e conturbanti icone, sono infatti i simboli e gli idoli della società americana o, se si preferisce, dell’american way of life.
L’artista procede per accumulazioni: Mickey Mouse, la matrice del signor dollaro, le immagini fotografiche degli ormai storici ed intramontabili musicisti jazz (Parker, Coltrane, Mahalia Jackson e Ella Fitzgerald) vengono calamitati -sotto forma di figurazioni o di collage- sulla superficie del quadro.
Dove, una volta catturati dal magma pittorico, affiorano dall’impasto materico, sciorinandosi con irruenza visiva. I suoi combine painting, non certo frutto di una cultura vernacolare viste le risapute origini svizzere dell’artista, sono l’autentica celebrazione e rievocazione di un mondo che, per quanto spesso mestamente negato, continua ad essere uno status symbol sapido e succulento, che invoglia, e mordacemente tenta di sopraffarci.
annalisa portesi
mostra visitata l’8 aprile 2006
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