Visionario e ludico è lo spazio di
Raffaele Fiorella (Barletta, 1979); l’ha rappresentato in disegni, sculture, installazioni nel polifunzionale spazio barese di Giuseppe Bellini per
To be ovvero essere. Genera perciò “esseri” vittime di stravaganti mutazioni, come i suoi volatili di piccola taglia e famigliole antropomorfe, giunti da un pre-mondo fantastico.
Fiorella ha una formazione didattica d’ordinanza: dopo l’accademia a Bari, un master in Multimedia Content Design con indirizzo Video e Post-produzione presso l’Università di Ingegneria Informatica a Firenze, specializzandosi in Arti visive e discipline dello spettacolo. Ora, sebbene sia ancora in una fase di ricerca, questa comincia a caratterizzarsi chiaramente in due filoni distinti, accompagnata dall’animazione virtuale che forse rappresenterà il suo approdo.
Le sculture amorfe che sintetizzano il primo periodo creativo sono qui presenti in gran numero nei
Toys, plasmati con materiali semplici come la cartapesta e caratterizzati dal candore neutrale del gesso. I personaggi e gli oggetti rapiti al regno animale e vegetale sono “brutti anatroccoli” ispirati dall’allucinata e utopica rivoluzione ludica permanente, preconizzata da Guy Debord e rivelata nella traccia infantile. L’atrofizzazione fisica, l’antropomorfismo grottesco paventano un disagio esistenziale e annunciano un futuro poco rassicurante.
Un naïf quindi non del tutto ingenuo, lo stesso che caratterizza i nuovi ibridi rivestiti in stoffa: i
Puppets. I colori prendono il sopravvento sul bianco (
Team soccer è l’installazione più complessa accanto ad altri singoli personaggi sospesi alla parete, tra cui un raffinato omino mascherato) e la grottesca deformità deriva da uno sviluppo o regressione sproporzionati di organi, arti e protesi anomale.
Se nelle prime opere traspare soprattutto un’etica ecolologista, critica della biotecnologia e biogenetica (
Hybrid,
Quelle bianche piante,
Push me,
Uomo mangia uomo,
Military toys), negli ultimi fantocci di stoffa -ispirati a reali disegni infantili, rubati alla Rete e riprodotti tridimensionalmente- la vena malinconica pare ammorbidita da una solarità espressa dal colore, mutuata da fiabe, fumetti e cartoon (il mitico
Tim Burton). L’originalità è quindi più nel concetto che nella forma, a proposito della quale la memoria va ai pannolenci del Pinocchio di
Annette Messanger o alle più statiche installazioni sospese di
Anila Rubiku. La differenza è che, in Fiorella, queste creature restano realmente “aliene” perché inconciliabili col mondo reale, insensibile e materialista.
I
Puppets, evoluzione di alcuni suoi strani oggetti d’arredo (le sedie organicistiche), mostrano l’altra faccia dell’era attuale, non sono assolutamente degli “scacciapensieri” e il grottesco che li contraddistingue risveglia quel senso di empatia che si prova per chi è in un situazione disagiata. A tal proposito, sembra paradigmatico il pupazzo “ubriacone” senza volto, abbandonato in un angolo, col vino rovesciato dalla bottiglia.