Due location e un interessante workshop per riflettere sulla relazione tra interventi artistici e paesaggio. All’appuntamento biennale coi
Giovani Artisti Pugliesi si guarda alla possibilità di una ri-progettazione creativa di alcuni spazi verdi del lungomare barese, avvalendosi dell’esperienza dello studio
Ricerca & Progetto.
L’arredo urbano, infatti, non è più mero decoro monumentale nella mostra
Public Park al Fortino.
Daniele D’Acquisto progetta un giardino “claustrofobico”, un
hortus conclusus scrutabile attraverso larghi fori tra gli arbusti verdeggianti; un Eden inaccessibile, a sottolineare che il patrimonio naturale va più protetto più che fruito. Già a Mola di Bari, nell’ambito di
My P-art, Francesco Ferruccio e Dottor Porka’s P-Proj avevano espresso in maniera embrionale i loro progetti. Fortemente concettuale quello di
Francesco Ferruccio, un gioco di relazione tra naturale e artificiale, formulato in un’installazione audiovisiva: il suono irritante di un tosaerba e un mandala di semi, un tappeto erboso per osservare e ascoltare.
Utopico è quello dei
Dottor Porka’s P-Proj, collettivo attivo dal 2002: biosfere trasparenti animano un circuito accidentato, assumendo forma di rampe,
half-pipe dove gli skateboarder si sentirebbero liberi di esprimere qualsiasi forma di
trick; progetto sulla scorta di passate azioni a sfondo ecologico e sociale, nel cantiere dell’ecomostro di Punta Perotti come sulla spiaggia all’amianto di Torre Quetta.
Nella sezione
New entries un’arte più acerba, ma non per questo meno pensata, nelle opere di ventuno artisti under trenta, tra i quali è già evidente uno scarto di qualità. Siamo accolti dalle “morbide” fauci lanose e sgargianti – inequivocabile ispirazione pascaliana – della figlia d’arte
Chiara Dellerba e dal surreale prototipo di raccoglitore ripiegabile per borse contraffatte, da esporre
on the road, pensato dal geo-designer
Nico Angiuli. Dall’ispirazione mediatica dei
cosplayer di
Gabriele Benefico si passa ai primissimi piani delle bambine sognanti di
Giuseppe Pansa, a quelle iperrealistiche, finte-ingenue, velatamente dark di
Margherita Ragno.
Prevalgono idee simpatiche, in cerca di maturazione, data anche la giovanissima età:
Red Zdreus (alias
Michele Monelli) con i suoi
500 ml of love di latte materno, il mega-elogio alla patata di
Pierpaolo Miccolis, gli spermatozoi-pupazzo di
M. Antonietta Bagliato.
Fra tentativi colti o socio-culturali, come quello di
Valentina Vetturi, e pallide emulazioni esterofile di più note installazioni, emergono defilate le opere “meditate” più interessanti.
Lea Caputo coniuga elementi in conflitto, acqua e fuoco, fermando il
fieri: l’ardere consuma un blocco di ghiaccio con materiali infiammabili, ritratti nella performance incendiaria e stampati su vinile.
Elena Rossella Lana racconta in un fotoromanzo cinetico, montato a mo’ di girandole da tavolo, storie fra trans. Sono piuttosto eventi trans-itori perché, pur non mutando i personaggi, invertendo relazioni e successione d’immagini identiche, cambiano e si confondono storie e destini,
forever.
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Carissima Giusy Caroppo, credo che la sua visita al Gap sia stata incompleta e che propabilmente ha trascurato un "piccolo" particolare: buona parte dei lavori in esposizione presso la sala Murat, gli stessi di cui parla nel suo articolo, erano montati sulle pareti di diversi cubi che, ahimè, altro non erano che stands con all'interno lavori di altri artisti partecipanti, "ingenuamente" risparmiati dalla sua recensione...ma sono sicuro che troverà tempo e modo per giustificare la sua mancanza....
Fabio Santacroce