Prima della scienza, l’alchimia. Prima della fotografia, la grafica. Ci sono nessi imprescindibili tra la ricerca dell’Opus e le metodologie dell’incisione, non a caso la tecnica dell’acquaforte, inventata da Dürer, mutua il suo nome da un principio –acqua fortis– di trasmutazione della materia. Praticare entrambe significava appartenere ad un’elite intellettuale, unita da vincoli esoterici. Poi le cose cambiano. L’avvento della fotografia riscatta la pittura dal compito di duplicare la realtà, e la grafica dalla riproduzione delle opere pittoriche, lasciando ad entrambe la libertà di darsi unicamente all’invenzione sfrenata. Inizia un periodo di serena convivenza in cui gli artisti affiancano alla propria produzione un nutrito corpus di tirature eseguite nelle maniere più disparate, con coscienza e rispetto del mezzo. Le xilografie dell’espressionismo tedesco sono emblematiche in questo senso. E se un artista della levatura di Georges Roualt incentra, su suggerimento di Ambroise Vollard, per un periodo della carriera, la propria ricerca sulla produzione di stampe, veicolando, con volumi drammatici e chiaroscuro struggente, il proprio male di vivere, l’insofferenza verso il mondo, decaduto nella Grande Guerra, significa che la calcografia conserva un potere espressivo non indifferente.
Ed oggi? La VII Biennale dell’Incisione di Acqui Terme, organizzata e presieduta fin dalla sua prima edizione da Giuseppe Avignolo, ha dimostrato come questa tecnica continui a vivere felicemente nella ricerca di molti artisti, con soluzioni brillanti, provenienti da ogni angolo della Terra. Sceglie come patrono ideale, con una cartella di opere raffinatissime illustrative de i Fiori del Male di Baudelaire, per l’appunto Roualt, spiegato con passione da Paolo Bellini, curatore della rassegna, in una conferenza tenuta alla vernice, ad alludere ad una continuità tra i grandi maestri e questi giovani contemporanei.
Le opere vincitrici offrono un significativo riscontro della levatura di tale iniziativa. A partire dal primo premio Giovanni Turria, con l’opera Spetter Sorra, a bulino ed acquaforte, il cui titolo, che richiama suoni onomatopeici rimandanti a nient’altro che a se stessi, fa da riscontro ad un immaginario onirico, in cui la figurazione sottostà ad una sensazione di spaesamento-galleggiamento totale. Passando per le speculazioni di Susana Venegas Gandolfo, peruviana, con Ventana, premio speciale della giuria, in cui geometrie e chiaroscuri alludono talvolta ad un referente, talvolta lo negano.
O per Mas alla del silenzio, ad acquaforte e puntasecca, dell’argentina Alicia Diaz Rinaldi, in cui frammenti di memoria fluttuano nel limbo di un nitore esasperato. Concludendo con il premio Ex-Libris, Bon Voyage, della lettone Natalija Cernetsova, assunto a simbolo dell’intera manifestazione e L’atelier géometrique della canadese Juliana Joos, realizzato ad intaglio, premio Consorzio Brachetto d’Acqui, un dittico in cui il colore, il blu nella fattispecie, realizza un corto circuito di senso tra immagine reale, diluita dalla luce in uno schema a macchie, ed astrazione. A significare una relazione strettissima ed intensa tra arte e vita. Sia essa sostanza, o più delicata introspezione.
santa nastro
mostra visitata il 21 maggio 2005
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