E’ ormai da qualche anno che Torino e il Piemonte hanno assunto una tale posizione di centralità nell’ambito della promozione dell’arte contemporanea da poter loro attribuire un indubbio ruolo d’interlocutore consolidato e privilegiato nel circuito museale internazionale.
Oltre alle ordinarie attività espositive, infatti, varie istituzioni hanno iniziato dei programmi a lungo termine, incentrati soprattutto sul lodevole obiettivo di presentare giovani artisti emergenti, sia italiani che stranieri, per essere al passo con la naturale evoluzione, anche generazionale, dell’arte. E’ spontaneo pensare alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo per l’arte, sia per l’appuntamento di Guarene Arte, sia per il progetto di organizzare ogni anno una mostra dedicata ad un artista italiano tra i più giovani ed interessanti.
La personale di Giuseppe Gabellone, fino al 19 novembre, rientra in questa promozione delle ricerche artistiche contemporanee più innovative ed espressive.
L’artista, nato a Brindisi nel ’73 e residente tra la Puglia e Milano, ha partecipato in questi anni a varie mostre internazionali, tra cui le biennali di Santa Fe, Venezia e Sydney. Tutta la produzione di Gabellone riflette la trasformazione, avvenuta negli ultimi anni, del linguaggio artistico italiano contemporaneo: movimenti tradizionali quali l’arte povera o il minimalismo sono stati completamente assorbiti dalle nuove generazioni, permettendo loro di sviluppare un linguaggio indirizzato ai problemi di un mondo più esteso e aperto. Le sculture e le fotografie di Gabellone sono l’evidenza di quest’evoluzione, in cui l’utilizzo di nuovi materiali e l’uso dello spazio sono negoziati sulla base di una realtà contraddittoria.
Proprio da apparenti incoerenze sono caratterizzate le opere dell’artista pugliese. In un mondo sempre più spinto verso la riduzione dei tempi, siano essi di attesa, di sviluppo, di produzione (in qualsiasi campo, anche artistico), Gabellone trasmette un concetto temporale ambiguo: da un lato si affida alla velocità delle nuove tecnologie internet, dall’altro resta legato al tradizionale concetto di rappresentazione fisica, valga l’esempio del progetto di un palazzo di dieci piani visibile sulla rete e, in una minima parte, nella realtà.
E ancora, crea sculture per poi immortalarle nella fotografia e distruggerle, senza affidarsi totalmente, quindi, alla possibilità di costruire gli oggetti solo in maniera virtuale.
Parimenti contrastato è il rapporto con lo spazio: in un contesto in cui le distanze fisiche possono essere eliminate dalla facilità delle comunicazioni, che ci portano in ogni istante ovunque nel mondo, Gabellone sembra ben rappresentare questa possibilità con opere che permettono di cambiare continuamente la loro volumetria. Tre esempi espressivi di sculture destinate ad essere viste in stati diversi, piegate o distese, sono un corridoio estensibile in alluminio e tela, un cubo in fibra vegetale intrecciata e lavorata a maglia della lunghezza di trenta metri e un’enorme matassa in rafia, tutta attorcigliata su se stessa, dalla forte tensione visiva.
Il catalogo della mostra contiene testi critici di Francesco Bonami, direttore artistico della Fondazione e curatore del museo di Arte Contemporanea di Chicago, e Frédéric Paul, direttore del Domaine de Kerguéhennec, Centre d’Art Contemporain, Francia.
Citiamo due passi significativi per meglio comprendere la filosofia artistica del maestro. “Gabellone riflette, volente o nolente, sulla necessità di grandi e complesse strutture, quali sistemi sanitari, strade e ferrovie, concepite esclusivamente per essere al servizio di anonimi individui. Lavora come un burocrate plastico, studiando ogni dettaglio che darà al muro la possibilità di funzionare per l’edificio e all’edificio l’occasione di funzionare per il muro. In questo modo Gabellone dà all’arte la possibilità di funzionare per la scultura e alla scultura di funzionare per 1’arte, allo spazio l’occasione di lavorare per 1’immagine e all’immagine di lavorare per lo spazio” (Francesco Bonami).
“In effetti Gabellone produce poco e distrugge molto. E se destina alla distruzione la maggior parte delle sue sculture, è senza dubbio perché le giudica pienamente soddisfacenti o significative solo dal punto di vista unico, sterile e parziale della fotografia” (Frédéric Paul).
E’ anche importante aggiungere che in occasione della mostra vengono organizzate due giornate dedicate ai bambini: i laboratori didattici, tenuti da Mauro Biffaro dell’associazione Orai, si terranno domenica 15 ottobre e domenica 5 novembre alle ore 15.00.
Claudio Arissone
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