Prendendo in prestito qua e là qualche parola dell’inossidabile Italo Calvino potremmo dire che “una mostra non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una mano”. E questo è certamente il caso del progetto espositivo che mi accingo a recensire. Che richiede, pertanto, un breve antefatto. Il promotore e organizzatore della mostra è una galleria romana, Honos Art Gallery, ricompresa tra poderose mura seicentesche in quel di via dei Delfini. Romana sì, ma con un cuore madrileno (quello del suo fondatore, Juan Carlos García Alía) e un’anima basca (quella della direttrice, Esther Barrondo). Negli ultimi due anni la Spagna è stato il paese che ha corso di più in Europa, lo attestano dati economici sorprendenti. E lo stesso sta facendo questo avamposto spagnolo a Roma. Che punta sull’e-commerce per vendere oltre gli spazi espositivi tradizionali. E collabora con istituzioni culturali pubbliche e private nostrane. Come la Fondazione Umberto Mastroianni. Per promuovere i suoi artisti. Come Renzo Bellanca, classe 1965, aragonese di nascita (mi riferisco alla cittadina in provincia di Agrigento), romano d’adozione. La prima sorpresa di questa mostra è la location che la ospita. Siamo ad Arpino, uno dei più suggestivi borghi del frusinate. Patria di Cicerone, Caio Mario e di Giuseppe Cesari (1568-1640), meglio noto come il Cavalier d’Arpino, che fu tra i più importanti pittori della Roma pontificia. Ma Arpino vuol dire oggi anche Umberto Mastroianni (1910-1998) e la Fondazione a lui dedicata, ospitata al Castello di Ladislao.
Nelle sale del Castello è possibile ammirare la donazione di 81 opere del celebre scultore di Fontana Liri. Nella collezione sono ricompresi molti capolavori, anche monumentali, che contribuiscono a restituire un’immagine più rappresentativa e corretta di questo artista, del quale il grande pubblico ha negli occhi spesso soltanto la produzione grafica, proposta ripetutamente in televendite. Ma le ambizioni della Fondazione Umberto Mastroianni, sotto la direzione artistica di Loredana Rea, vanno oltre la collezione permanente. Terminati i lavori di ristrutturazione dell’antico maniero che la ospita, sarà anche sede di residenze d’artista. Luogo strategico, non solo per la vicinanza con Roma.
Frosinone stessa, infatti, vanta una rinomata Accademia di Belle Arti, gettonatissima da studenti orientali, e un prestigioso Conservatorio, anch’esso a vocazione internazionale. Intanto, la Fondazione ha avviato da tempo un progetto di mostre per promuovere artisti contemporanei. Come il nostro Renzo Bellanca. E veniamo, quindi, al “casus belli” di questa recensione. La sua mostra personale “Urban skin”. Che, nella volontà della sua curatrice Loredana Rea, inizia con un dialogo con la collezione permanente di sculture di Umberto Mastroianni. Punti di contatto ci sono. Eccome. Perché Renzo Bellanca è sì pittore, ma con un approccio plastico, innato. Non a caso, è anche scenografo e docente di Scenotecnica all’Accademia di Belle Arti di Firenze. E anche in lui si rileva una certa potenza interiore che si espande nello spazio.
Sulle sue cartografie, tecniche miste su tela che compongono la sua personale drammaturgia. Se quella di Mastroianni, poi, è una scultura emotiva, quella di Bellanca è una pittura emotiva. Entrambe teatro di una grande lotta. I cui esiti, per il pittore romano, sono approfonditi nella sala che gli è stata dedicata per l’occasione nel Castello. La linea guida del percorso espositivo di “Urban skin” (che nasce da una costola di “Everywhere, Nowhere”, la personale del 2015 tenuta presso la Honos Art Gallery) sono luoghi estrapolati da cartografie immaginarie, ora più dettagliate ora più effimere. Luoghi che hanno una propria memoria, custodi di avvenimenti che svelano, celandola, una storia personale e collettiva. Di cui la patina del tempo trascorso sembra impedirne ogni contatto. Non solo fisico. Ne deriva una mostra intima, giocata sulla sospensione metafisica, scandita da dipinti che paiono affiorare da un ricordo, dalle profondità della mente. Anche se, in alcuni casi, assumono le fattezze di visioni ipertecnologiche trasmesse sulla tela direttamente da un satellite spaziale, come nella fortunata e recente serie dal titolo “Satellite Maps” del 2017. Dove la morfologia dello stesso territorio cambia a seconda della stagione. Conservando la doppia possibilità dell’astrazione e della figurazione e la forma simbolica di un “recinto sacro” della memoria, di un “hortus conclusus del pensiero”, dove lo sguardo vaga in un labirinto di impalpabili istantanee di geometrie emozionali, seguendo l’imprevedibile liturgia di un culto profondo, intimo, misterioso della propria interiorità. Alla ricerca di quell’io perduto che rappresenta un’ossessione anche per Bellanca. Fino a lambire i territori primordiali dell’io, quelli borderline, causando dei veri e propri corti circuiti mentali nell’artista stesso e nello spettatore delle sue opere. “Urban skin” appare, pertanto, un titolo congeniale per la mostra. Mappe di una cartografia urbana che muta sulla nostra pelle giorno dopo giorno, tra banlieue e quartieri sottoposti a gentrificazione. E che ci conducono oltre l’epidermide nei territori complessi dell’inconscio. Richiamandoci le parole di Jean-Jacques Rousseau: “La vista è tra tutti i sensi quello dal quale seno si possono sottrarre le valutazioni della mente”.
Cesare Biasini Selvaggi
mostra visitata il 29 aprile
Dal 29 aprile al 2 luglio 2017
Renzo Bellanca. URBAN SKIN
Fondazione Umberto Mastroianni
Castello di Ladislao
Piazza Caduti dell’aria, Arpino (FR)
Orari: da martedì a sabato ore 09.30-12.30; 16.00-19.00. Domenica 16.00-19.00
Info: www.fondazionemastroianni.it – www.honosart.com