”O mia cara trementina…” ci riporta direttamente all’amore per la pittura, unico filo conduttore dell’esposizione. Progetto che nasce in coerenza con un’idea degli stessi artisti, insoddisfatti di un’imprecisata “critica” che pone condizioni che con le ragioni dell’arte hanno poco a che fare. Ironia venata di nostalgia discreta, dove la pittura è la vecchia pittura. Quella che sporca le mani e riempie la stanza di odori pungenti.
Angelo Bellobono (Nettuno, 1964; vive a Roma) ci riporta al passaggio di stato come modulazione chimica delle identità e della percezione del mondo. L’acrilico sulla tela è pensato per strati densi, sottili, fortemente contrastati. Ciò rende attraversabili i volti fino a trarne icone di mutevolezza, in cui si sospendono sguardi liquidi e fisicità pulsanti. Tutt’altra impostazione nel paesaggio di Francesco Cervelli (Roma, 1965). Tele solide, sintetiche. Paesaggi acquatici e boschivi, compenetrazione di elementi naturali e descrizione attenta dei referenti. Cervelli ha costruito i suoi paesaggi con la tecnica del puntino; ad essa sottrae la sua struttura, azzerando i cromatismi fino all’essenza monocroma. Tinte fondamentali, a volte urtanti a volte sinuose, in cui sviscerare la sensazione mitica dell’interiorità, dell’inconscio e dell’introspezione come adesione istintiva alla vita.
Marco Colazzo (Roma, 1963), sprigiona tensione gestuale in colature astratte. La pittura come inizio necessario, fondamento che spazia in rapporto a iconografie contemporanee: elementi corporei, dettagli meccanici di bambole e pupazzi. La pittura e la sua energia, il corpo animato o inanimato e la sua logica mutevole. Il linguaggio come relazione, intreccio, complessità a proprio agio.
Con i lavori di Mauro Di Silvestre (Roma, 1968), invece, passiamo ad una dimensione del ricordo che si sublima in un’epidermide pittorica quasi trasparente. Approccio decisamente narrativo, che fonde l’apparizione di corpi caratterizzati a scorci di architetture vissute. Necessariamente rassicurante, affabile; accogliente e malinconico. L’artista emana un vissuto fragile come un soffio eppure tangibile, inevitabile: il ricordo come continuità imminente.
Dal realismo interiore di Mauro di Silvestre, ai guerrieri di Stefania Fabrizi (Roma, 1958). Anche le sue immagini combinano diverse declinazioni di realismo. Il corpo come identità e metafora, congegnato come un’apparizione tra il mistico e il teatrale. Figure di guerrieri in cui si combinano fonti storiche e anonimati, in cui la citazione è ben calibrata e sempre in assonanza con diversi registri linguistici, tra loro contrastanti. Chiude la collettiva Adriano Nardi (1964, Rio de Janeiro; vive a Roma). I suoi quadri sono indagini digitali di corpi femminili e tecnologie dell’immagine che si abbandona ad impeti di puri istinti pittorici. L’immagine fotografica di partenza, si rifà alle pose delle copertine di moda, alla retorica fascinosa della pubblicità, per poi accomunarsi a tracce pregnanti di astrattismi pittorici. Dal linguaggio d’uso alla sua articolazione primaria e purificata. La pittura come metalinguaggio, grado zero della formazione di un’immagine, incastro variabile di possibili evoluzioni.
daniele fiacco
mostra visitata il 2 dicembre 2006
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Grande Daniele, mi sei piaciuto, scrivi bene,
adesso bisogna conoscerci!
oh miei cari: un salutone!