Lo strettissimo legame con la città di Bari, di cui San Nicola è patrono, ha spinto ad un cospicuo investimento finanziario (1.700.000 euro, tra pubblico e privato) per l’evento pugliese dell’anno: la mostra allestita nel Castello Svevo, dal respiro internazionale per la connotazione transconfessionale che caratterizza il culto del santo di Myra.
Secondo il curatore Michele Bacci dell’Università di Siena -che ha lavorato in collaborazione con Fabio Marcelli dell’Università di Perugia- raccontare la storia di San Nicola significa percorrere le tappe di un viaggio attraverso il Mediterraneo, dall’Asia Minore a Costantinopoli, dall’impero bizantino alla Russia ortodossa, dal Levante multireligioso all’Italia cattolica, dall’Albania e dalla Turchia musulmane all’Olanda protestante. Fino ad approdare al consumistico mondo americano. Viaggio culturale e antropologico di cui Bari è crocevia, fin dall’avventurosa traslazione delle reliquie, nel 1087 del vescovo -vissuto in Asia Minore tra il III e il IV secolo, sotto Costantino- il cui carisma è stato alimentato da episodi della vita e leggende di valenza simbolica.
L’esposizione delle testimonianze artistiche, chiarissima nelle didascalie –i titoli in latino sono definizioni convenzionali stabilite da Anrich 1913-1917- illustra il percorso per vita, morte e miracoli del santo, parallelo alla progressiva codificazione della sua effige. Vecchio dalla chioma folta e con barba a punta oppure vescovo dai preziosi indumenti liturgici, calvo come un saggio, vestito con pallio bianco decorato da croci, con il Vangelo nella mano sinistra, sormontato dal Cristo pantocrator e incorniciato dai Santi; il primo cui è dedicata la formula compositiva dell’icona agiografica con l’effigie circondata dai cicli narrativi. Esempio di equità e generosità, viene esaltato mediante la Praxis de stratelatis -missione pastorale unita a quella di difensore civico contro l’amministrazione corrotta- come episcopus puerorum, protettore dei naviganti e delle giovani da marito.
Oltre alla più antica delle icone, risalente all’VIII secolo, in mostra anche oggetti come sigilli, avori, steatiti, cammei e prodotti d’oreficeria, specie nella sezione Archierarchis Christou. La diffusione a Bisanzio e nel Mediterraneo orientale (secoli IX-XV), opere esplicative dell’iconografia bizantina in senso lato. Poi, sculture d’età romanica, come la statua-colonna di St.-Maur-des-Fossés e il capitello istoriato della Catalogna, la casula duecentesca ricamata con il più dettagliato ciclo agiografico, manoscritti miniati austriaci e fiamminghi. Spiccano infine la monumentale tavola proveniente dal Museo bizantino di Nicosia (Cipro), commissionata da un cavaliere crociato per una chiesa di rito greco, i polittici di Andrea Orcagna, una pala di Lorenzo Lotto, il Paliotto di Guell, opere del Vivarini e di Paolo Veneziano, un prezioso Beato Angelico (prestito finanziato dalla Svimservice), Mattia Preti e Corrado Giaquinto e tele di artisti nordici e le otto icone provenienti dal Monte Sinai –conservatesi in perfetto stato grazie al clima secco del luogo– utili a comprendere antiche tecniche come l’encausto. Finchè l’iconografia del santo non è assorbita dall’immaginario collettivo occidentale e pagano: Nonno Gelo e Santa Claus, il nostrano Babbo Natale. Una “rilettura” alternativa a quella sacra: lo interpreta anche Andy Warhol, immortalandolo tra i 10 Miti contemporanei della società
Complessivamente, la mostra appare un po’ sovraffollata di testimonianze, in una sede prestigiosa ma dall’allestimento a volte angusto. La sua complessità ha snaturato certamente quel carattere popolare del santo vicino alla gente, che il pubblico probabilmente cercava. L’aspetto “colto” –insieme al prezzo del biglietto non proprio economico, riservato sebbene ribassato, anche ai più piccoli- non ha incentivato perciò l’afflusso sperato, favorito soprattutto da serate speciali ma d’èlite o da eventi collaterali istituzionali. Memorabili il rito solenne officiato dall’igumeno di Santa Caterina S.E.R. Damianòs per l’arrivo delle icone del Sinai e la visita alla mostra del presidente russo Vladimir Putin, giunto a Bari per incontrare Prodi, spinto anche dalla spinosa questione della restituzione del complesso barese di San Nicola, costruito nel 1913 ad opera della Società della Palestina ortodossa per ospitare i pellegrini russi che arrivavano per visitare le spoglie di San Nicola, “il Dio russo” per il grande semiotico Boris Uspenskij.
giusy caroppo
mostra visitata l’8 febbraio 2007
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