Una grammatica della pittura ridotta ai minimi termini. Così Emiliano Di Mauro (Milano, 1978), finalista al premio Italian Factory per la giovane arte figurativa italiana, intende la sua strategia visiva, conseguenza del segno dei tempi. Tempi che secondo il suo parere esigono il ritorno ad un linguaggio formale sobrio e pulito, basico e senza orpelli. E difatti sembra voler scarnificare e pulire fino a recuperare la pura struttura, l’essenza della pittura stessa. Sembra cercare un continuo rapporto dialettico tra il soggetto e la luce che lo definisce, creando immagini sintetiche ad acrilico che sono in realtà forme di oggetti quotidiani (lampade, tavoli).
Partendo dal presupposto che la figura “esiste solo nel momento in cui è toccata dalla luce”, Di Mauro sceglie di affrontare un’indagine percettiva. Che si svolge attraverso fiori in trasparenza, ramificazioni che invadono il territorio spaziale e volti in blu che s’intravedono tra il gioco dell’ombra. Figure prive di connotazioni particolari, una tipologia archetipica che a volte si sovrappone ad altre immagini, collocate sempre decentrate in mezzo al predominio del bianco totale dello sfondo. Perché la pittura cola, l’immagine si distrugge e si riduce, prescindendo la forma stessa del soggetto, metafora dell’uomo che a poco a poco si disintegra, con un’identità sempre meno strutturata. Anche l’ambiente è rarefatto, a volte segnato da un’unica colatura a filo del colore. Ma il soggetto è solo pretesto, là dove il fine è completamente un altro: comunicare con pochissimi tratti di pittura, con un campo visivo riempito al minimo. Per rendere complesso ciò che sembra apparentemente facile. Rosso, blu, e verde acido i colori. Rosso a simboleggiare l’elemento primario, blu quasi nero per dare profondità al corpo. E poi il bianco che è tutta luce.
Tra filosofia zen e meditazione, il giovane artista sperimenta passando dal nulla al colore, dall’acrilico allo smalto, da macchie liquide -come d’acqua- a campiture piatte di colore puro usato per la sua stessa forza espressiva e per marcare un tratto. Nello spazio-rapporto tra soggetto-oggetto si fa strada un’immagine che può essere sovrapponibile, sfasabile, una decorazione che crea volutamente disturbo alla visione. Il segno diventa figurazione tra superficie e luce, nello studio quasi architettonico dello spazio. Nelle opere senza titolo di Emiliano Di Mauro non c’è alcuna esigenza narrativa. Soltanto una volontà formale ed estetica, basata su prospettive volutamente sfasate. Perché la vera pittura, secondo le sue parole, non deve riprodurre la realtà, ma parlare solo di se stessa.
francesca baboni
mostra visitata il 28 maggio 2005
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