Sessanta opere per ripercorrere l’evoluzione dell’arte moderna e contemporanea italiana.
Il Novecento, l’arte dell’oggi e dell’appena ieri è il titolo della mostra, ospitata nel cuore di Orvieto, con cui la Fondazione Domus propone un estratto della propria collezione, esaltando in modo puntuale i movimenti artistici tipicamente italiani che hanno caratterizzato il Novecento: dal Futurismo alla Metafisica, dal Realismo magico all’Astrattismo, dal Fronte Nuovo delle Arti allo Spazialismo, dall’Arte Povera alla Transavanguardia, fino all’arte “dell’oggi”.
Una panoramica sulle mutazioni artistiche del Belpaese dagli ultimi anni dell’Ottocento fino agli albori dei più vicini anni ‘90. Dai chiari legami con il periodo post-impressionista, tracciati nel periodo divisionista di
Umberto Boccioni in opere come
Ritratto dell’avvocato o da
Giacomo Balla in
Alberi e siepe a Villa Borghese, alla “sincerità” come espressione della “sensazione umana”, dipinta nel dopoguerra da
Renato Guttuso e quasi esasperata in
Episodio della Liberazione di Roma. Ed è l’opera dello stesso Boccioni, attraverso le tre tele in esposizione, a rendere più evidente il mutamento artistico dei primi anni del XX secolo:
dal divisionismo ancora presente in
Ritratto di Achille Tian (1907) al futurismo di
Ritratto di donna (1911).
L’excursus proposto nelle tre sale di Palazzo Coelli rende giusto merito alla produzione artistica italiana del secolo scorso, arrivando fino agli anni più recenti, con opere di autori contemporanei come
Il sole nella finestra, scultura in legno del teatino
Mario Ceroli, e le
Figure nostalgiche di
Sandro Chia, dove un gioco di tratti e colori immerge le figure sullo sfondo: il segno di un realismo ormai abbandonato, che lascia il posto all’inconscio e all’introspezione.
La mostra è caratterizzata da una serie di rimandi e d’influenze tra gli artisti presenti; ma non mancano gli stili “unici”, come quello di
Lucio Fontana con il
Concetto spaziale, dove la carta telata su cui si sviluppa l’opera alterna tocchi di grafite o inchiostro a lacerazioni e tagli della superficie, come alla ricerca di un’altra dimensione. Con Fontana si è già agli anni ‘60 e, tra le opere di questo periodo, trova spazio l’arte eccentrica di
Mario Schifano, con una delle sue tele della serie dei
Paesaggi anemici.
Nella produzione tutta italiana dei quaranta artisti in mostra non mancano comunque gli influssi della scuola francese, come nel
Paesaggio di
Renato Paresce, dove si ritrovano ascendenze
fauves e riflessi cubisti, dove l’effetto maggiore viene lasciato al colore.
Nella mostra risaltano le opere di
Alberto Savinio e di
Cagnaccio di San Pietro: per la profondità teorica delle tele del primo -scrittore, compositore e studioso di metafisica oltre che pittore- e per la forza del colore e la potente espressività del secondo, frutto di un “realismo magico” carico di risvolti psicoanalitici, esaltati nel ritratto di donna
Allo specchio.
La mostra chiude con opere di pochi anni fa, dopo un passaggio fra le tele suggestive di
Emilio Vedova, che con il suo
Trittico della libertà e il successivo
Varsavia n. 2 cattura gli sguardi del visitatore con la sua opera astratta ma mirata al rinnovamento culturale partito nel dopoguerra. E, forse, non ancora completato.