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04
aprile 2019
Fino al 21.VI.2019 I know what I like, I like what I know SpazioPonti, Genova
altrecittà
Genova, quartiere Albaro. Svariate opere d’arte contemporanea alloggiano in una bella palazzina d’epoca, inserita in un contesto urbano dove dire “no grazie” ad un appartamentino è difficile quanto credere d’essere di fronte ad una nuova sede pubblica per il contemporaneo, aperta magari in uno di quei tanti spazi comunali inutilizzati. E difatti banca ci cova, precisamente Banca Cesare Ponti, che in quel sublime luogo baciato da un incipit di primavera ha inaugurato la sua nuova sede; portando di conseguenza a Genova SpazioPonti, progetto che apre l’esclusiva location a non meno esclusivi eventi dedicati all’arte contemporanea. Fidatevi, in una città che per strada si domanda “chi ha paura dell’arte contemporanea?” – ultima provocazione-rimpallo di Ben Vautier ad opera del CAGE (Coordinamento Artisti Genovesi) – ogni occasione per metterla al centro della scena è preziosa.
Se poi su questa prima prova il marchio di qualità ce lo mettono Antonella Berruti e Francesca Pennone di Pinksummer siamo a posto, ché loro con quasi vent’anni d’attività e una compagine di artisti rappresentati da leccarsi i baffi possono dare solo soddisfazioni. Due donne, una garanzia anche per questa mostra-non-mostra, che è una mostra in interazione con un ambiente da cui non è ospitata, ma inglobata, operazione che per una galleria strutturata come quella genovese significa mettersi in gioco misurandosi con un terreno pieno di asperità. Mai come in nessun’altra occasione è opportuno ragionare sul “cosa, dove e come”, tenuto oltretutto conto che non sono presenti opere pensate ad hoc.
I know what I like, I like what I know – installation view – courtesy Pinksummer – photo Arianna Spanò
Un evento a buffet, per questa reunion non c’è un curatore pronto a servirti una carrellata di pezzi da novanta e tu lì obbligato a riceverli senza poter sgarrare, causa imposizioni di etichetta espositiva. Georgina Starr insomma te la ritrovi come centrotavola, Mariana Castillo Deball senza problemi come soprammobile, non prima che Luca Trevisani ti abbia spalancato senza preavviso una finestra sul mediterraneo palermitano. L’avrete perciò capito, questa mostra è un self service, un distributore d’arte contemporanea dove le opere te le devi andare a scovare come in una caccia al tesoro, cosa che ai più bravi e preparati può riuscire anche senza l’adorata planimetria fornita in dotazione. Tanta roba succulenta in uno spazio giustamente invadente come te lo aspetteresti, pronto a fare la sua parte e a permetterti di pucciare nel suo gustoso anacronismo architettonico lavori che in galleria vanno a prendere per ovvie ragioni quel saporino più istituzionale, e meno confidenzialmente estetizzante.
#SpazioPonti più che un spazio d’ambientazione e un luogo di dis-ambientazione, di destabilizzazione domestica, poiché difficilmente vedrete galleggiare tra elegantissime pareti giallo chiaro e stucchi un monocromo rudemente naturale di Luca Vitone, che con le sue muffe a vista possiede molto di realistico e poco di finemente elegante. Altrettanto difficilmente sulla stessa parete potreste mai ammirare uno dei due meravigliosi mosaici organico-casalinghi di Tobias Putrih, complessi che nella disgregazione quasi infinitesimale della materia prima “guscio d’uovo” lavorano sulla concezione strutturale di insiemi graficamente corposi. Due lavori tanto brillanti sotto ogni aspetto, quanto – spiace dirlo – appannati da una dislocazione separata che in entrambi i casi non pare valorizzarli granché. Ma poi volete mettere la sensazione di arrivare a casa e sentir volteggiare sopra la vostra testa un grappolo di Cloud di Tomás Saraceno? Impagabile, a meno certo che non abbiate un conto seguito da adeguati zeri, o che non frequentiate i giri giusti.
E mettiamo pure che zeri, giri di amicizie o tutti e due vi arridano: quando il soldo in tasca accompagna una mala interpretazione dell’interior design, istigando a formulare ambienti privati pericolosamente tendenti alla spersonalizzazione coatta, in pieno stile showroom, l’effetto finale “a tu per tu con l’arte contemporanea” non è chiavi in mano. Sicuramente perlomeno non in questi termini. La storia qui è tutt’altra, perché prendere lavori di ricerca contemporanea – peraltro piuttosto “spinta”, la “ancien” pittura è una quota rappresentata solo Stefania Galegati e Koo Jeong A – e aprire loro le porte di un ambientazione fuori dai soliti giri espositivi – iper classicheggiante, dove i rivestimenti pesano e pure il calpestio di un parquet a spina dice la sua – pur non rappresentando una novità col botto produce sempre quella piacevole sensazione di arte “an-istituzionale”. Con quell’alfa privativo che fa la differenza, ancor più se quei lavori te li godi seduto in poltrona. Se poi salendo le scale incroci un cerchione d’auto firmato Plamen Dejanoff, più che dis-funzionalizzato alla radice (è in bronzo, con quello non sfrecci da nessuna parte) ri-funzionalizzato per essere un oggetto tecnicamente inutile, ma utile ad interpretare feticisticamente la cultura del lusso contemporanea, a quel punto nulla ti sembra più fuori posto. E forse la vicinanza con cotanto luccichio potrebbe attirarti fino al contagio, rendendoti più altezzoso del solito. Facendoti sentire pure un po’ a casa.
Andrea Rossetti
mostra visitata il 21 marzo 2019
Dal 21 marzo al 21 giugno 2019
I know what I like, I like what I know
SpazioPonti
Via Pisa 58, 16146 – Genova
Info: +39 0105994111