Due nel mirino. Per un confronto serrato. Dopo i giovanissimi Gabriele Arruzzo e Fabio Bonetti, la galleria Sansalvatore di Modena ripropone una doppia personale, mettendo insieme due artisti molto diversi che si confrontano sul genere univoco del ritratto, tematica forse fin troppo inflazionata, ma qui riproposta in chiave originale. La mostra mette in parallelo i lavori di Fulvia Mendini (Milano, 1966) e Francesco Totaro (Messina, 1961), due esempi apparentemente opposti della visione del ritratto nell’arte contemporanea, in realtà con diversi punti in comune. Uno di questi, la sintesi. L’impostazione frontale tipicamente illustrativa della Mendini ha origine dall’impronta grafica rivelata dalla frequentazione dell’Istituto Europeo del Design; seguendo una linea ben precisa che passa dalla moda al design, propone ritratti bidimensionali dai tratti somatici semplificati e appiattiti, di piccolo formato e a mezzo busto, servendosi di un colore puro e laccato e di una modalità ordinata e lineare. A metà tra il grafismo dei portraits di Julian Opie e la nitidezza pittorica di Alex Katz. Lo stile decor delle nuove opere della Mendini -che dai motivi vegetali e fiori passa alla figura umana- ha un sapore pur sempre squisitamente raffinato ed elegante, alimentato di elementi decorativi e piccoli animaletti sullo sfondo; narrazioni introspettive dal rigore pulito e sobrio, che non lasciano spazio ad altre interferenze. L’ultima serie di lavori di Francesco Totaro, Doppi/fluidi, una doppia versione di lavori tecnici -da una parte acrilici e smalti e dall’altra stampe digitali su forex- mescola la pittura materica e gestuale al ritratto fotografico sottostante.
Il mistero della figura passa anche qui attraverso la sottrazione che diventa in questo caso destrutturazione, mediante una pittura digitale sfocata e gestuale al tempo stesso, misture fluide che nella fluidità liquida della rappresentazione emotiva esplodono sulla superficie dell’opera cancellando ogni traccia di contorno. Totaro sembra rifiutare l’algida perfezione piatta dell’immagine digitale e di rimando la sporca con l’eccesso del gesto; con gli acrilici e gli smalti mette un filtro tra se stesso e lo spettatore, mentre sotto alla tempesta sensitiva e astratta del colore, dall’impatto informale, stempera i tratti del viso e lascia il ritratto sfocato come colto dal movimento improvviso di una zoomata, che s’intravede appena mentre affiora dal magma dell’azione.
francesca baboni
mostra visitata il 16 aprile 2005
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