Bisogna guardare in una bara come si guarda in una culla. Da una frase di Alberto Savinio prende le mosse l’ultimo lavoro di Gino Sabatini Odoardi (Pescara, 1968), una riflessione poeticamente intensa sul senso della morte a partire dal suo apparente contrario, prima condizione che la realizza: la nascita. Cullarsi gioca sull’attrito degli opposti, reiterato dall’uso dei colori bianco e nero, in una valenza ovviamente simbolica, che costringe a traslare il ruolo della culla in quello di tomba e viceversa. Il concetto di morte non è estraneo al percorso dell’artista, ma se altrove è affrontato nell’accezione di postumo, ferma al rapporto dialettico tra ciò che era o è stato, e ciò che ci sopravviverà (ad esempio Nudo del 1997, abiti ed oggetti personali conservati sottovuoto), qui la verità della morte viene presentata con maggiore incisività, se è proprio una culla a rappresentarla (elemento ripetuto 36 volte da disegni su carta inglese appesi alla parete). Perché Cullarsi è –dopotutto- il tentativo di spingerci ad affrontare paure ataviche, senza sottrarci ai dati di fatto.
Gino Sabatini Odoardi, individuando in un atto d’estrema sintesi i limiti della condizione umana, costringe ad un confronto diretto con l’ineluttabile. Nell’intenzione più generale della rassegna, quella di indagare la corporalità nelle arti visive, culla e bara presuppongono infatti un corpo mancante, la cui presenza è soltanto evocata, innescando un funesto senso di attesa. Il semplice atto di osservare l’inevitabile induce ad un confronto diretto e forzato con la realtà della morte, indirizzando verso una presa di coscienza amara, ma indispensabile. L’arte di Sabatini Odoardi è sempre stata, del resto, apparentemente delicata ma sottilmente perfida, inseguendo con intelligente ostinazione la volontà di sfidare l’ovvio ed i luoghi comuni, incrinando certezze e dati di fatto. Essere lucidamente consapevoli dei nostri limiti, per imparare a rivolgere alle cose lo stesso sguardo di cui si riveste ciò che non si teme. In una culla si contempla il miracolo della vita. Ma il miracolo della vita contempla anche la sua fine.
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matilde martinetti
mostra visitata il 22 novembre 2004
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Un lavoro come pochi...denso di rimandi ineluttabili. Riflettetene tutti!
secondo me è lo stesso gino che si scrive i commenti. RIMANDI INELUTTABILI. ma stiamo scherzando? come si può dire che questa mostra è interessante? su cosa bisogna riflettere? tutto già visto. roba trita e ritrita. ho visto la mostra e assolutamente non è così come descritta qui. e poi è un azzardo chiamare microgalleria una stanzetta inventata. bha! gino, come sempre, si sa far “confezionare” bene. i miei complimenti. v.