Nuova personale di
Alessandro Passaro (Mesagne, Brindisi, 1974) alla Galleria Riva, dal titolo
Intrans(S)ito. Ovvero cammino, passaggio, attraversamento, movimento ed evoluzione insieme. Le opere esposte coprono infatti un arco temporale di circa due anni, includendo alcuni dipinti del primo solo show da Paolo Erbetta a Foggia, descrivendo così la linea progressiva di trasformazione dell’impianto pittorico di Passaro. Si avverte una crescita sia del segno che del contenuto: da una sorta di “esercizio di maniera” si passa a un grado ulteriore di maturità, in cui l’artista si rivela più audace e sicuro di sé.
Non solo il gesto, la pennellata, si fa più veloce, pastosa e materica, compenetrata al racconto e ai personaggi, divenendo a un tempo codice e meta-codice della realtà narrata; anche la favola pittorica subisce un mutamento conseguente. I piani si moltiplicano e s’intersecano, simultanei sguardi raccontano un’armonia delle forme e del contenuto: gli
stargate (portali dimensionali portati o trasportati dai personaggi ritratti, come se fosse del tutto naturale), che aprono varchi di intercambiabilità nei piani della rappresentazione; la
clessidra gigante, simbolo del tempo – un tempo che si fa relativo – che essa rincorre oppure ferma, e soprattutto monito autoreferenziale; infine l’
acqua.
Proprio l’acqua è un elemento ricorrente nella pittura come nella ricerca di Passaro, così come lo sono il paradosso e i sillogismi, e anch’essa ha subito un cambiamento evidente nel processo di maturazione dell’artista: dai primi lavori si è quasi prosciugata o, meglio, si è concentrata. Dove prima era una distesa in cui i personaggi “sguazzavano”, ora ha ridimensionato il proprio potere invadente, per riappropriarsi della funzione di sorgente di vita. Fa capolino tra i pattern delle pavimentazioni, dividendosi con essi la prospettiva, sul cui fondo si trovano ora cieli azzurri e tersi – “macchiati” di tanto in tanto da qualche nuvola -, ora orizzonti notturni, neri e stellati.
Negli ultimissimi lavori (
Prepittura) Passaro introduce un nuovo elemento catalizzatore: la tavolozza o, meglio, un suo concentrato, che compare tra le mani di personaggi “distratti”, immersi nella vita, nei suoi aspetti più caduchi, tanto da non accorgersi della dispersione della propria energia. Che, invece, congelata in un attimo sulla tela, è proprio lì fra le loro mani, rappresentata appunto dalla tavolozza.
Anche quest’ultima, dunque, è un simbolo importante della nuova coscienza di Passaro, che si appropria di un linguaggio pittorico e concettuale il cui nucleo forte risiede proprio nella fase di ricerca coloristica delle tinte e delle nuance, così come nell’immediato del gesto della pennellata, che decodifica e ordina tutti gli input e gli stimoli alla base della nascita d’ogni quadro.