Approdata prima alla Pinacoteca Nazionale di Bologna, la mostra Da Carpaccio a Canaletto è il risultato della catalogazione scientifica effettuata dagli esperti italiani di duecento dipinti conservati nel giovane Museo di Belgrado. A testimonianza di un’ormai consolidata tradizione di scambi culturali tra le due sponde dell’Adriatico ed incentivata dai soprintendenti pugliesi, coadiuvati dalle direttrici del Castello Svevo di Bari e Castel del Monte. Cinquantuno dipinti di diverse scuole regionali, datati tra XIV e XVIII secolo, prevalentemente giunti a Belgrado tra il 1891 e il 1892, grazie alla sensibilità del collezionista-donatore Berthold Lippay, serbo residente a Venezia, ed all’allora direttore del Museo jugoslavo Mihailo Valtrovic, per ”la crescita e modernizzazione delle collezioni”. Un corpus di circa 200 dipinti, raccolti nel museo estero, depauperato e danneggiato durante la Grande Guerra, per cui è stata necessaria un’attenta lettura filologica, data la frequente incerta attribuzione.
E non sempre Tatjana Bosnjak, curatrice, e Rosa D’Amico, redattrice degli esaustivi apparati didattici, sono giunte ad una soluzione: in molti casi le iscrizioni “ambito”, ”?”, “seguace?”, “scuola di…” mostrano come anche nomi di spicco quali Lionello Puppi o appassionti come Vittorio Sgarbi, ai quali è stato chiesto un expertise, non abbiano dato certezze a riguardo. Comunque un percorso attraente, cronologico e tematico, in cui è decisamente positivo cogliere la “mano” del maestro e quella dell’allievo.
Ed è così che si rimane abbagliati tra i Tesori del Medioevo dalle cadenze di Lorenzo Monaco e dei contemporanei senesi nella tavola Madonna con bambino del tardogotico Spinello Aretino. Nella sezione Dall’età d’oro dell’umanesimo al primo ‘500 San Rocco e San Sebastiano attribuiti ad un Carpaccio dell’ultima decade d‘attività, le testionianze emiliane del Bagnocavallo ed un curioso tondo senza nome ma in ottimo stato –Adorazone con bambino”– dichiarato di ambito quattro/cinquecentesco e settentrionale, in cui tuttavia sono evidenti matrici leonardesche nel paesaggio e negli atteggiamenti delle pie donne, stilemi manieristici nel bambinello, apparentemente nato vecchio e dalle forme goffe.
Tra La grande pittura veneta di figura tra ‘500 e ‘700 spicca il nome di Tintoretto per una Madonna con bambino e senatore ricondotta al 1565, che rivela un’autografia non esclusiva del grande pittore tonale veneto, e due piccole tele della bottega del Tiepolo, interessanti per l’impianto monumentale riferita ad alcuni bozzetti del maestro.
Tra Gli stranieri italianizzati e viceversa, un bel Davide e Golia, anticamente attribuito al Guercino, oggi al fiammingo Regnier, grande ammiratore di Reni e Tiarini; una scena pastorale dagli incisivi effetti lumunistici del Cavalier Tempesta, precursore del paesaggismo lombardo-veneto settecestesco; oltre ai classicisti più o meno noti, cogliamo la delicatezza luministica e la morbidezza delle forme del maestro napoletano Solimena in un’Addolorata con angelo.
Infine, La pittura di genere. Troppo larga la forbice che raccoglie i dipinti di questa sezione: si va da opere ispirate a cicli bassaneschi che affrontano tematiche storiche o bibliche, alle nature morte dell’Ascione, ad un bel paesaggio del genovese Magnasco, per giungere ai due capolavori della mostra: Il Canal Grande con la Chiesa di S. Maria della salute del Canaletto e Piazza S. Marco a Venezia di un Guardi maturo: forse meritevoli di un discorso a parte, i due maestri del vedutismo veneziano.
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giusy caroppo
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