Ha scelto un cinquecentesco bastione alto 10 metri, nella scarna pietra che contraddistingue le torri di guardia levantine. Jannis Kounellis ha scelto Molfetta, “tappa di una viaggio”, -invitato dal giovane curatore Giacomo Zaza – mettendo in scena due installazioni pensate per quel “piccolo posto misterioso destinato a deposito di acqua piovana…fa parte di quei miracoli che s’ incontrano quasi per caso…“.
Greco, romano d’adozione, Kounellis non è nuovo in puglia. Aveva già acceso il pubblico barese nel 1979 con la sua Margherita di fuoco, ricevendo da Argan il Premio Pascali: un dialogo con il passato affidato alla forza delle fiamme.
Oggi, nel Torrione Passari, ancora “storia”, odori e segni della popolazione locale: il mare, “ritagliato” nel suo colore intenso dai ridotti spazi delle finestre; una rete da pesca, sospesa a raccogliere centinaia di scarpe usate, infinite misure, infinite epoche. E poi la tradizione contadina, nelle pietre dei muri a secco racchiuse in sacchi di juta. Larghe ciotole di terracotta a contenere acqua salata e pesciolini rossi, in alcuni uno solo, in altri due, in molti nessuno. Memoria contadina che si lega a quella marinara in ogni paese costiero pugliese, dove la cadenza della gente di mare si distingue dall’inflessione dei lavoratori della terra. E tante sedie, anch’esse differenti per stili e provenienza, allineate alle pareti: una coerente costruzione teatrale, ordinata e “meditata”. Niente “quadri”, rappresentazioni: “non posso essere un pittore tonale“, ha detto. La sua forza è leggere i luoghi, capirne la storia e trasmetterla attraverso la fisicità dei materiali, che hanno sempre un “odore”; e creare come un
Davanti ad una straboccante platea, ha ribadito l’impegno collettivo degli anni ’70, la carica ideologica forte, e la scelta di non aver voluto “indossare un abito” e “partire per l’America”. Per rispetto di un’ “identità popolare” e di una “coscienza italica”.
E “questa mostra” -per lui-“è un segno preciso come un taglio di Fontana“, indica una volontà di “fierezza di vivere una realtà culturale” rispetto ad una “americanizzazione” da sempre contestata: “la bandiera americana di Jasper Johns mi pareva un’apologia… e poi naif, oleografica. Quella bandiera oggi la vedi dappertutto e quindi non c’è, non rappresenta più un sentimento nazionale…Siamo in un villaggio che diventa sempre più grande con una cultura che diventa sempre più piccola“.
Forse è stato proprio l'”incontro” con l’idealismo di questa grande personalità, la sua semplicità e determinazione nel non volersi allineare, il piatto forte di questa iniziativa. Probabilmente l’incontro ha detto molto di più dell’opera. È stato come ascoltare un vecchio vinile, con i suoi graffi, il suo carattere “obsoleto”, ma vero. Una “pausa”.
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Questo pomeriggio, al tramonto, ho visitato le installazioni di Kounellis nella suggestiva cornice del torrione di fronte al mare blu di Molfetta. Davvero un momento magico..l'unica nota stonata è che non c'era nessuno che desse spiegazioni ai visitatori allibiti di fronte ai pesciolini rossi e soprattutto per chi come me conosce già l'artista greco, ma vorrebbe sapere qualcosa di più..non c'era neanche una brochure, una didascalia..nulla di nulla!
L'arte contemporanea non è semplice da capire, ma se ci sono i mezzi perché non sfruttarli?
Mi dispiace che l'organizzazione non abbia proseguito a "curare" l'operazione.
Ero presente all'inaugurazione e tutto sembrava correre per il verso giusto...anche se anch'io non sono riuscita ad avere brochure o catalogo.
E' vero, l'arte contemporanea ha bisogno della "descrizione" per i non addetti, ma è pur vero che opere come quelle di Kounellis sono anche legate all' "evocazione" e per questo è molto difficile decidere se "dire" o non "dire".
A parte l'eventuale disorganizzazione, naturalmente.
Giusy