LeWitt, artista aniconico oggi incline ad un cromatismo esasperato e Paladino, allusivo e inaspettatamente solare, sono a Bari, invitati da Ludovico Pratesi.
In un contesto minimale, Sol Lewitt (Harford, Connecticut, 1928) irradia un immenso Wall Drawing sulla parete di fondo (m.8×7) della scarna Sala Murat: “All Bands” è un’idropittura più vicina emotivamente al cromatismo acceso della “non geometric form” degli “Irregular grid solidi” che alla recente opera monocroma realizzata a Roma.
Sempre più lontano dagli austeri lavori degli anni ’60, preferisce colori più accesi e sensuali, linee ondulate e intrecci: tessere rettangolari e semicircolari,
Pare che il maestro del minimal d’oltreoceano abbia espresso l’intenzione di donare l’opera alla città di Bari, permanente “muro d’artista” a vivificare lo spazio aperto della Sala Murat.
Dislocati non lontano, nel fortino di S. Antonio, due storici progetti di Mimmo Paladino (Paduli, Benevento 1948), accanto ad un’inedita installazione “site specific”.
Il grande elmo in ferro (1993) è l’imponente richiamo verso lo spazio all’aperto: scelta ben riuscita, sebbene non originale (lo ricordiamo nel Maschio Angioino a Napoli e in altre situazioni analoghe)… Più avanti nove ondulate bandiere double faces in alluminio policromo, in sequenza, erette come “merli” della torretta vista-mare. “Inchiodate” ad esse, sagome di scarpe in alluminio, chiara allusione alla millenaria vocazione marittima volta ad oriente.
Così le Bandiere – “regine” della recente mostra da Stein a Milano o architettura
Il vitalismo esasperato dell’alternarsi degli arancio, dei gialli e dei neri, dei verdi e dei rossi, si spegne nella sempre emozionante installazione dei Dormienti, adagiati nelle oscure mura del fortino medievale: 33 corpi immobili, accompagnati nell’abbandono fetale dalla musica originale di Brian Eno (voluta per la prima installazione delle terracotte nel 1998 a Poggibonsi e nel 1999 per la Round House di Londra). Nella penombra dell’antico, accarezzata dalla luce naturale e artificiale, si esalta ancor di più quel mondo interiore e magico, arcano e primitivo, caro all’artista campano.
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giusy caroppo
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