Voi (non) siete qui è la seconda tappa espositiva del progetto Estetica dei non luoghi, ideato da Omar Calabrese e costituito da tre diverse fasi. La prima, Hic sunt leones, si è conclusa nel luglio di quest’anno, mentre la terza ed ultima, Nowheremen è prevista per il marzo del 2007.
La mostra, con opere di artisti per la maggior parte contemporanei, affronta dichiaratamente il tema dei non luoghi e ha la particolarità di essere allestita all’interno di un non luogo topico della contemporaneità (nell’accezione datagli da Marc Augé): il centro commerciale. La location scelta dai due curatori, Calabrese e Maurizio Bettini, come sede per questo inedito itinerario nell’immaginazione artistica di geografie mentali inesistenti o impossibili, pone una radicale riflessione sul senso di tutta l’operazione. In particolare, una domanda viene alla mente: se il centro commerciale è il luogo del tripudio consumistico, esteso a tutti livelli, l’arte proposta è allora una merce tra le altre? Oppure è l’arte che eleva il non luogo dell’ipermercato allo status di luogo? Bisogna anche considerare che non è la prima volta che i non luoghi, come ad esempio gli spazi di transito -aeroporti, stazioni ferroviarie o metropolitane- vengono usati come location per esposizioni artistiche.
La mostra è pensata come un momento individuale in cui il visitatore fa esperienza di un consumo d’arte come supermerce. Il non luogo è luogo di consumo, per dirla con Augé; voi, però, (non) siete qui, ma nell’altrove, che ogni artista immagina diversamente. Le tre tappe, una volta concluse -la terza mostra sarà sulle non persone– arrivano a tracciare una teoria estetica del non luogo artistico e letterario, con l’obiettivo di fare il punto sulle geografie immaginarie contemporan
Il percorso è fatto di lavori in cui gli artisti, a partire dal primo Novecento fino ai giorni nostri, costruiscono e decostruiscono uno spazio geografico reale per arrivare ad uno spazio simbolico o puramente fantastico, determinando così dei non luoghi sia geografici che mentali. In fondo, afferma Omar Calabrese, “l’artista è sempre un cartografo della propria opera”.
Dalle carte metafisiche a quelle surrealiste, fino alle destrutturazioni concettuali contemporanee delle carte geografiche virtuali dei navigatori satellitari (come l’opera Navigatore (2006) di Rauch) l’assunto è il medesimo: tracciare la geografia di uno spazio interiore. E il linguaggio dell’arte si fa punto di vista privilegiato per l’individuazione di un luogo possibile.
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Centro commerciale. Sembra un tentativo di critica, ma è tutta un'illusione.