Un cane di strada, vecchio, malconcio, voltato a lanciare uno sguardo diretto, torvo, vagamente minaccioso verso l’obiettivo: questo è lo scatto più famoso del fotografo giapponese Daidō Moriyama, ed è la prima immagine ad aprire la mostra ospitata al CIAC di Foligno. La mostra, curata da Italo Tomassoni e Filippo Maggia, direttore della Fondazione Fotografia Modena, propone una corposa selezione di scatti di Moriyama che ripercorrono la sua carriera fino a oggi, tra Giappone e altri paesi asiatici. Le fotografie sono allestite per insiemi, scegliendo di seguire un criterio non cronologico o filologico, ma estetico.
Come in ogni bravo fotografo di strada, l’occhio di Moriyama vaga e segue, come un randagio gli odori e umori, la vita delle strade della Tokyo degli anni sessanta. Moriyama sorpassa il canone reportagistico alla Cartier Bresson aggiornando il proprio stile su altri modelli, come i quasi contemporanei Seiryū Inoue, Shōmei Tōmatsu, William Klein.
Il caso è la prima componente della fotografia di Moriyama: l’obiettivo cattura scene insolite da angolazioni non ortodosse, casuali, dove l’errore è considerato un surplus di valore, e i tranci di realtà di cui la fotocamera si appropria sono più trovati che cercati.
Tra prostitute, giovani sbandati, incidenti di auto, pagine di riviste erotiche, impiegati in camicia bianca, vagoni di metropolitana, le foto di Moriyama restituiscono l’immagine di una Tokyo postbellica sospesa tra tradizione e innovazione, tra ripresa economica e sindrome della sconfitta, e a tratti sono investite di un involontario interesse socio-antropologico. Interesse amplificato, questa volta consapevolmente, negli scatti cronologicamente posteriori presentati in mostra, realizzati anche in altri luoghi del sud-est asiatico, lavori certo affascinanti, ma meno freschi e un poco più stanchi delle prime cose.
Anche attraverso l’uso di fotocamere non professionali, povere, di bassa qualità, Moriyama ha contribuito al consolidamento di un tipo di visione lo-fi – sporca, a bassa risoluzione – in chiave di rottura con la tradizione, che ha fortemente impregnato l’immaginario di molta controcultura, dal punk agli esperimenti cinematografici di Shinya Tsukamoto.
Se infatti in poche fotografie si impone una certa nettezza dell’immagine, regalando gioie agli amanti dei particolari e delle piccole narrazioni – e in alcuni casi scimmiottando i camuffamenti da reale ad astratto di Edward Weston – le cifre stilistiche veramente distintive di Moriyama sono lo sfocato, il ruvido, lo sgranato (intorno ai corrispondenti termini giapponesi are, bure, boke, si formò nel 1969 il programma estetico della rivista di rottura Provoke, di cui Moriyama fu attivo collaboratore) combinati con un contrasto bianco/nero estremamente drammatico. Alcune immagini si riempono perciò di aree molto scure, che limitano fortemente la nostra vista, la confondono, quando non la escludono totalmente: è l’estetica delle zone d’ombra, dense, misteriose e impenetrabili che caratterizzano la cultura visiva giapponese, come ci ha rivelato a suo tempo Jun’ichirō Tanizaki nel suo incredibile Libro d’ombra.
Mario Finazzi
mostra visitata il 22 novembre
Dal 22 novembre 2014 al 25 gennaio 2015
Daidō Moriyama, Visioni del mondo
CIAC – Centro Italiano Arte Contemporanea,
Via del Campanile 13
06034 Foligno (PG)
Orari: Venerdi 16,00 -19,00
Sabato e Domenica 10,00 – 13,00; 15,30 – 19,00