Dopo il risveglio artistico della città di Brescia, anche la sua provincia dà segni di vitalità. La Fondazione Ambrosetti di Palazzolo sull’Oglio inaugura, con una mostra estremamente convincente, un ciclo di quattro anni dedicato all’indagine sui quattro elementi naturali, presi come simbolo delle differenti attitudini e poetiche. Il primo anno di mostre e conferenze è dedicato all’aria, e, quindi, all’utopia dell’immaterialità. La mostra Calma apparente costituisce una tangibile realizzazione di tale utopia: i tre giovani artisti giocano -in maniera molto seria- con lo scarto che separa concretezza e aleatorietà, opera e concetto.
Carla Mattii (Fermo, 1971, vive a Milano) negli ultimi anni ha ridefinito il concetto di stupore legato all’opera d’arte, riconciliando provvisoriamente gli estremi in maniera non pacificante, ma proficua di interrogativi estetici e socio-politici, nonché esistenziali. I suoi fiori invadono di una presenza discreta lo spazio espositivo e la mente dello spettatore: viene quasi la tentazione di tenere d’occhio i suoi vegetali in-naturali per verificare se a distanza di tempo essi siano cresciuti o si siano modificati. La possibilità di giocare, suggerita tramite i “kit di montaggio”, risulta ironica. Gli oggetti organici dell’artista incutono rispetto e un’evocativa forma di timore: meglio lasciare solo all’artista la possibilità di intervenire demiurgicamente sulla natura.
Steve Budington (Corning, New York, 1978; vive a Indianapolis) è un artista americano alla sua prima uscita italiana.
La sua pittura, a metà fra l’ironico e il macabro, trasforma la figura umana in una sorta di macchina organica. La scarnificazione simbolica che egli opera discende direttamente dai suoi studi disegnati sull’anatomia post-umana: tale processo denuda l’uomo, scomponendolo in macchina costituita da vari apparati funzionali.
In mezzo a questi elementi cyborg fanno la loro ricomparsa frammenti di organicità, talvolta gli organi sessuali: siamo un passo più in là del post-umano e un passo prima dell’affermazione definitiva dell’estetica cyborg. In mezzo a questo guado sembra che l’uomo postmoderno, soggetto dell’opera di Budington, abbia ancora la possibilità di tornare verso una dimensione precedente alla deumanizzazione fisica e sociale.
Lidia Sanvito (Napoli, 1970, vive a Milano) è una scultrice discreta che utilizza come materiale-base prevalentemente la parola e le sue basi modulari, ovvero le lettere. L’aleatorietà e la fragilità delle sue installazioni è un vei
Come si vede, il senso di rarefazione e calma che a prima vista le opere comunicano –anche grazie all’eleganza degli spazi della Fondazione- è solo apparente, come da titolo della mostra. Soggiace un senso di inquietudine multiforme, che investe il sociale e il linguaggio così come la figura umana e la natura. Forse proprio l’arte ci salverà, un’arte contraddittoria, leggera ma pregnante. Come quella di Mattii, Sanvito e Budington.
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