La presenza fisica di Damir Niksic (Bosnia Herzegovina, 1970) nelle proprie opere, dichiara apertamente come queste si sviluppino dal vissuto stesso dell’artista. Chiedono, quindi, partecipazione e coinvolgimento da parte dello spettatore e lo fanno con mezzi che forniscono una comunicazione immediata e comprensibile. L’artista si avvale di tecniche come la fotografia e il video che volutamente puntano su un’immagine nitida, sulla presenza della musica e del movimento. Vogliono interessare, ma anche intrattenere, così si spiegano i chiari riferimenti al musical americano degli anni Sessanta e all’imitazione della pittura nella fotografia ottocentesca. Si riconosce una grande cultura dell’immagine nelle opere di Niksic, che lontana dalla mera estetica, viene incanalata in funzione di una poetica precisa e significativa. L’arte diventa per lui il mezzo per comunicare le proprie esperienze, le opere si trasformano in una serie di microstorie che stimolano la riflessione. In La Cravata à la Bosniaque attorno al Fez, che l’artista indossa, è avvolta una cravatta. Un’immagine che apparentemente sembra rimandare alla supremazia dell’Occidente sull’Oriente, ma che vuole sottolineare come tali culture derivino da una radice comune e non sia, quindi, possibile scinderle. L’origine etimologica del termine cravatta, infatti, è nell’espressione ottocentesca à la Croate, ovvero il modo di portare (alla croata) un foulard attorno al collo.
La poetica dell’artista insiste in particolar modo sul rapporto fra est e ovest, fra musulmani e cristiani, sottolineando come, per tradizione, l’Europa sia fondata su una convivenza di culture, di religioni, di etnie che da sempre, fra di loro, hanno instaurato scambi e interazioni.
Riflessione che deriva dalla condizione stessa dell’artista, dal suo essere un bosniaco musulmano che vive negli Stati Uniti: ecco come la denuncia e la necessità del racconto diventano gli elementi cardine della sua attività artistica. Nel video If I wasn’t Muslim, ambientato in un fienile, si vede l’artista vestito da contadino ballare, muovendosi grossolanamente, e cantare. Sul brano If I Were a Rich Man, tratto dalla colonna sonora del film The Fiddler on the Roof (una produzione americana girata in Croazia negli anni Settanta), vengono inserite parole che rimandano a un contesto ben diverso. Nel testo cantato da Niksic, infatti, si fa riferimento a come la propria vita sarebbe diversa se egli non fosse Musulmano, mentre nel film si tratta della cacciata degli ebrei prima della Rivoluzione Russa. Una sostituzione che pone l’accento sul destino comune di due minoranze etniche: un ricorso storico nella persecuzione.
Muovendosi per luoghi comuni –messi alla berlina e quindi distrutti- l’artista sottolinea come la propria cultura non venga accettata nonostante sia anch’essa d’antica origine e sviluppatasi in convivenza con le altre. Un messaggio importante e profondo, ma dall’impatto ironico e coinvolgente, per la musica orecchiabile e la gestualità espressiva.
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