Entrando nella personale di
Lorella Cecchini (Vignanello, 1965, vive a Roma) non si può non rimanere colpiti dal profondo significato che ogni opera riesce a trasmettere. Ciò che sta alla base della sua ricerca, partita nel 2004, è la conoscenza delle vicende storiche ed umane delle tante donne della Bibbia.
“Ho iniziato con il dipinto Le due Madri – afferma l’artista – che rappresenta Sant’Anna vicino a Maria nell’atto di condividere con quest’ultima il dono del Signore all’umanità. Maria, vestita di bianco, posa una mano sul grembo mentre con l’altra, aperta rivolta allo spettatore con il palmo verso l’alto, porge a chi la guarda il frutto del suo ventre. Da qui mi sono interessata ad altre figure femminili della sfera religiosa che, con le loro storie sempre attuali, sanno insegnare e far riflettere”. Sono molti i dipinti ad olio che offrono un’analisi attenta e sottile della donna rappresentata: a partire da
Sarah, sposa di Abramo dal quale ha avuto un figlio in tarda età, che figura come una madre vestita di candido abito mentre dalla posizione delle gambe, dalle pieghe del suo manto e dalla composizione
strutturale emergono triangoli che alludono alla Trinità e all’origine della vita. Il momento è quello in cui Sarah ascolta, all’ingresso della tenda, l’angelo che annuncia la sua futura gravidanza. L’espressione del viso, gli occhi intensi e il sorriso appena accennato sono quelli di una donna sicura che va incontro al suo destino e che vuole diventare madre. I volti dolci dai lineamenti delicati e regolari di queste donne sono resi con straordinario effetto realistico accentuando, a seconda del soggetto, i caratteri che più evidenziano le qualità e le sofferenze sopportate. Gli occhi, specchio dell’anima, le mani, il punto di incontro con Dio, e i piedi, elemento di umiltà e attaccamento alla vita terrena, sono dipinti con accurata precisione anatomica lasciando ogni altra parte del corpo ai margini della semplicità. Lo sfondo è sempre neutro anche se il colore chiaro delle vesti, principalmente il bianco tranne nel caso della
Maddalena e di
Giuditta, è spesso contrastato da toni più accesi come il giallo della tenda di
Sarah, il salmone della fascia di
Rebecca o l’arancione di
Tamar di Giuda. Ogni dipinto contiene una simbologia religiosa che rimanda all’origine della vicenda che, nella modernità, trova la sua continuazione. In Rebecca (si sposò con Isacco, figlio di Sarah, e dall’unione nacque Giacobbe da cui discese il popolo di Israele) troviamo l’annaffiatoio azzurro, con l’acqua che da la vita, il cui tubo allude al ramo dell’albero dei figli di Dio da cui Giacobbe avrà discendenza.
Donne che diventano madri ma anche donne che subiscono violenza e mutilazione, allora come oggi, e che trovano nella figura della concubina del levita la loro rappresentazione. In questo caso siamo di fronte alla perdita di ogni sembianza umana presentata però con rispetto e sofferenza. Il corpo è fasciato dalle bende tranne una mano che si protende con forza allo spettatore come a chiedere aiuto mentre un piccolo tulipano, omaggio dell’artista, le giace accanto.