Categorie: altrecittà

fino al 25.VI.2005 | Cimabue a Pisa. La pittura pisana del Duecento da Giunta a Giotto | Pisa, Museo Nazionale di San Matteo

di - 9 Maggio 2005

Sono soltanto due le opere di Cimabue (Cenni di Pepo 1240/50? – 1301/1302?) in esposizione a Pisa, se si esclude la presenza virtuale -la proiezione di una diapositiva- della Maestà del Louvre. Due tavolette a tempera, forse originariamente un dittico, rappresentano la Madonna in trono con il Bambino e la Flagellazione. Provengono da Londra (National Gallery) e da New York (Frick Collection) e sono riunite per la prima volta. L’autografia del maestro fiorentino è accettata da molti critici che evidenziano la raffinata fattura, la somiglianza tra gli angeli della tavola di Londra e quelli intorno alla Madonna nella pala del Louvre.
Superata l’iniziale delusione -il titolo della mostra farebbe sperare in una più ampia presenza di Cimabue- l’esposizione è di grande interesse e corredata da un ottimo catalogo. Protagonista assoluta la pittura pisana del Duecento, quando la città era un punto d’incontro di culture diverse -cristiana, bizantina e islamica- e nel suo porto arrivavano merci e idee da ogni parte del mondo conosciuto.
La mostra presenta dipinti su fondo oro, codici miniati e lavori di oreficeria e rivendica alla città un ruolo importante nel rinnovamento dell’arte occidentale. Come Firenze, anche Pisa partecipò al mutamento culturale che attra verso Giunta Pisano (Giunta di Capitino) e Cimabue conduce a Giotto. Nel corso del Duecento gli artisti pisani abbandonano le forme ieratiche del bizantinismo e umanizzano le immagini sacre. Una variazione non solo iconografica che riflette una nuova spiritualità. La diffusione del francescanesimo si accompagna alla volontà di avvicinare le storie sacre alla vita degli uomini; si sostituisce “all’ideologia bizantina dell’eterno, l’ideologia della storia” (Argan).
Un mutamento non lineare né privo di discontinuità e il percorso espositivo evidenzia bene come coesistessero indirizzi diversi. Le tavole con la Madonna e il Bambino di Enrico di Tedice (prima metà secolo XIII) hanno forti analogie con le icone bizantine: visi segnati da ombre, pose codificate, sguardi fissi e distanti, nessun contatto emotivo tra l’immagine e il devoto. Solo pochi anni dopo Giunta Pisano dipinge il Cristo crocefisso con un’intensità emotiva che in pittura non ha precedenti.
Le novità iconografiche sono a volte evidenti, altre volte meno percettibili. Molto è affidato all’occhio (se allenato) dello spettatore perché l’esposizione è piuttosto avara di notizie e di pannelli esplicativi. Che invece sarebbero molto utili per cogliere –ad esempio- nelle croci dipinte il significato del passaggio dal tradizionale Christus Triumphans con gli occhi aperti, Dio vittorioso sulla morte (come nella croce di Michele di Baldovino del museo di Cleveland) al Christus patiens, uomo sofferente (di cui sono splendidi esempi le croci di Giunta). Sulla croce Gesù è rappresentato morto con la testa incassata tra le spalle, il corpo vistosamente arcuato e segnato dalle ferite. Un’immagine più drammatica rispetto al Cristo dormiente di matrice orientale con gli occhi chiusi, ma privo di segni di sofferenza (la Croce n. 20 di un anonimo pittore greco-pisano).
Al Maestro di San Martino -che i curatori seguendo Bellosi propongono di identificare con Ugolino di Tedice, attivo negli anni ’60 e ’70- si devono le più innovative Madonne con Bambino. Un capolavoro quella proveniente dalla chiesa di San Martino, il volto malinconico di Maria non è segnato da contorni marcati, illuminato da un colorito vivace e delineato dal chiaroscuro; il manto è privo delle rigide pieghe bizantine lumeggiate d’oro e ricade morbidamente sul trono. Con queste immagini si confrontava Cimabue che alla fine del XIII secolo era a Pisa impegnato nel completamento del mosaico dell’abside del Duomo.
Al termine del percorso un polittico della bottega di Giotto dipinto su entrambe le facce: un nuovo, deciso, punto di svolta. Eleganti passaggi cromatici, la riscoperta della tridimensionalità, l’attenzione rivolta all’antichità classica e non a Bisanzio. Ma questa è già storia fiorentina del XIV secolo.

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antonella bicci
mostra visitata il 27 marzo 2005


Cimabue a Pisa. La pittura pisana del duecento da Giunta a Giotto – Dal 25/03/2005 al 25/06/2005 – Museo nazionale di San Matteo, Lungarno Mediceo, Pisa – Info e prenotazioni: 050.581057; www.cimabueapisa.it
Ingresso: intero euro 8; ridotto e ridotto gruppi euro 6; ridotto studenti euro 4; biglietto cumulativo con il museo nazionale di San Matteo euro 10;
Visita alla cattedrale (esclusa la Tribuna) 2 euro; In occasione della mostra è possibile visitare su prenotazione la tribuna della Cattedrale con supplemento di 1 euro sul biglietto per la Cattedrale (feriali 13.00/15.00; festivi 13.30/15.30)
Orari: tutti i giorni 10.00/19.00;  Catalogo: Pacini editore euro 48


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