Da sempre cantore degli emarginati e dei cosiddetti minori dell’arte, Vittorio Sgarbi se ne riconferma paladino indiscusso anche in questa nuova mostra. Che non lesina certo grandi nomi, ma che trae la sua forza maggiore dalle scelte atipiche compiute dal critico d’arte più presenzialista e telegenico. Così, chiamato a curare una sezione dell’esposizione di Alessandria, voluta e organizzata dalla Fondazione Palazzo Bricherasio di Torino, ha prontamente accettato l’invito. Preoccupandosi di valorizzare gli aspetti più legati alle curiosità –soprattutto nel caso dei visionari italiani, di suo interesse– e compiendo scelte non solo doverosamente istituzionali. Lavorando come se dovesse aggiungere “note ad un testo che c’è già stato”, ha dichiarato Sgarbi. Radunando, ad esempio, un nucleo di opere pittoriche, scultoree e di ceramica che rievocano i fasti della celebre Sala Internazionale Arte del Sogno, allestita all’interno della VII Biennale di Venezia nel 1907, con alcune delle più significative presenze italiane nell’ambito liberty, divisionista e simbolista. Una sala ai suoi tempi ideata dai toscani Galileo Chini e Plinio Nomellini, dallo scultore genovese Edoardo De Albertis e da Gaetano Previati che adesso rivive, perfettamente ricostruita, nel salone d’onore dell’appena restaurato Palazzo Asperia, nuovo spazio espositivo cittadino. Ed ecco svelarsi l’arcano del titolo della mostra che, da generico e scontato, si rivela invece azzeccato per dichiarare l’ideale appartenenza a quella lontana Biennale di inizio ‘900, capace di aggregare genio italico e artisti internazionali.
Ora come allora, si passeggia tra le forme concatenate dei Fregi con putti e ghirlande e i segni sottilmente decorativi sui Vasi in maiolica policroma di Galileo Chini. Senza dimenticare i contenuti sociali avanzati dalla pittura notturna e filamentosa di Plinio Nomellini e quella febbrilmente estenuata, scossa dai venti del simbolismo europeo, del grande trittico Il giorno di Gaetano Previati. Quello stesso vento che, spirato dall’inquieta tela Il peccato (1893) del maestro di Monaco di Baviera Franz von Stuck –invitato anche lui a esporre nella Sala del Sogno– e dalle opere di Max Klinger, tele vicine ai temi della mitologia mediterranea, sembra investire gli esordi pre-metafisici di Giorgio de Chirico di Salita al convento (1908) e Centauro morente(1909). Mentre, ad influire su quelli pre-futuristi di Umberto Boccioni ci pensa il gusto romanticheggiante de Il sogno o Paolo e Francesca (1890-1895) di Previati. Ancora Amanti, questa volta fissati per sempre nel bronzo da Leonardo Bistolfi si contendono la notorietà con il padre della modernità in scultura –Medardo Rosso– qui presente con la cera Ecce Puer (1906).
E, accanto, la plètora di autori italiani per lo più sconosciuti –almeno al grande pubblico– facenti capo a Marius Pictor (Mario De Maria), autore di notturni lunari di efferata bellezza. Come anche le litografie La Madonna dell’infinito (1914) e Lacrime d’amore (1915) di Alberto Martini, dal segno voluttuosamente liberty.
Nell’accedere al cospetto del Simbolismo per antonomasia –quello affermatosi in Francia a partire dal 1886, come reazione al Naturalismo e all’Impressionismo– ci si arresta sul limitare del secondo piano in contemplazione dei due Prigioni (1914) di Adolfo Wildt. Un marmo e un gesso dal nitore perfetto.
Poi, il percorso s’inerpica tra le silhouettes stese in campiture ultrapiatte di colore delle Bretonne au goèmon (1888), realizzate dal teorico della scuola di Pont Aven, Emile Bernard. E tra le opere dei suoi allievi –Maurice Denise, Paul Sérusier e Georges Lacombe– fondatori a loro volta del gruppo dei Nabis (Profeti), con l’intento di avvicinarsi alle fonti primigenie dell’arte. In bilico tra suggestioni simboliste e Secessionismo viennese si impone, invece, il grande panno La preghiera (1914) di Felice Casorati. Che in questo dipinto rivela la sua piena fascinazione per le forme sinuose ed eleganti, trascritte da quel mirabile austriaco di nome Gustav Klimt, autentico maestro in pittura come nel disegno, e soprattutto in quest’ultimo –Nudo di schiena in piedi con lunga capigliatura (1917/1918)– con tutta l’immediatezza del tratto a matita. Per concludersi con la lunga serie di opere grafiche Les Origines di Odilon Redon, nelle quali l’indagine dell’abnorme e del favoloso non è altro che la visualizzazione dell’inconscio così come si presenta nel sogno. Con l’effetto di un sognato più vero del reale…
claudia giraud
mostra visitata l’11 dicembre 2005
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bellissima ed emozionante ! da vedere e gustare in tutti i particolari. Un sogno ........ad occhi aperti davanti alle opere di Previati (Il giorno sveglia la notte),Morbelli ( S'avanza), Boccioni, Wild, per concludere con Casorati.