Camillo d’Errico, mecenate e uomo di cultura, acquistò nel corso della sua vita un vasto patrimonio pittorico, che donò alla città dopo la sua morte. Nacquero così la Biblioteca e Pinacoteca pubbliche con sede a Palazzo San Gervasio, luogo che vede oggi una nuova rinascita.
La mostra
Oltre il moderno. Un percorso tra i capolavori della collezione d’Errico e l’arte contemporanea è, infatti, un chiaro segnale della volontà di recuperare lo spirito illuminato di Camillo, attraverso una politica volta a strutturare saldamente non solo un dialogo aperto tra passato e presente, ma soprattutto a sviluppare programmi di valorizzazione delle risorse attuali, agevolando il rapporto tra spazio espositivo, opera e fruitore.
L’intera collezione – composta da 298 dipinti, 500 stampe e 5mila volumi, risalenti a un periodo compreso tra il XVI e il XVIII secolo – si accorda dunque con il progetto, voluto dall’Ente Morale Pinacoteca-Biblioteca Camillo d’Errico in collaborazione con la Fondazione SoutHeritage per l’arte contemporanea di Matera, di consolidare il patrimonio culturale preesistente attraverso l’insegnamento derivato dalla storia, sottolineando l’importanza della sinergia tra passato e contemporaneità, con l’incentivazione dell’investimento culturale.
Palazzo d’Errico rinasce come spazio museale, che si distanzia da una funzione puramente espositiva, aprendosi al fermento culturale, alla ricerca e alla sperimentazione artistica. Gli ambienti restaurati disegnano una mappa variegata delle possibilità connesse a un nuovo modo d’interpretare la comunicazione artistica e la sua fruizione. Come a dire che il codice dell’arte si ricompone in un lungo messaggio che dal passato prosegue la sua evoluzione diacronica del linguaggio.
Ottima ragione questa per una mostra che vede protagonisti quindici dipinti della collezione, messi in relazione con altrettante opere di alcuni fra i maggiori esponenti dell’arte contemporanea:
Jota Castro,
Sandro Chia,
Piero Gilardi,
Douglas Gordon,
Anri Sala,
Philippe Perreno e
Sergio Vega. Un allestimento che crea un cortocircuito nel tradizionale sistema esposizione/fruizione, spogliando le opere del loro valore assoluto e riferendole più che altro a un contesto.
Il progetto curatoriale diventa così un
progetto ambientale, dove la relazione fra le tematiche di ieri e quelle di oggi corrono sul doppio filo dell’intersezione/biforcazione, in cui similitudini e analogie piuttosto che divergenze e disparità concorrono a mostrare senza veli il progresso ideologico e concettuale della funzione assoluta dell’arte. Lo spazio diventa così un “ibrido”, uno strumento pensato come autonomo, capace di dirigere verso una soluzione quello scarto non ancora codificato tra il soggetto dell’opera e l’ambiente.
In questa logica, da cui emerge una lettura
post-storica, s’intravedono nuove possibilità non tanto in una “neocodificazione”, quanto invece in inediti scenari interpretativi scaturenti dalla sinergia tra luogo espositivo e pubblico, piuttosto che tra soggetto dell’opera e soggetto della fruizione.
A completare l’esposizione, il progetto satellite
Appendix presso la Cappella del Purgatorio annessa al Palazzo, con le opere di
Bruno di Lecce e
Donato Faruolo.