Il titolo non rende merito adeguato a questa bella mostra ravennate. Lascia intendere un movimento di sola andata dall’antico al moderno, mentre la mostra stessa ha il pregio di evidenziare proprio l’ambivalenza di un rapporto nel quale, per dirla con Borges, gli artisti creano i loro precursori, ovvero, come ricorda Marco Tonelli nel suo contributo al catalogo Mandragora (firmato pure da Spadoni, Pontiggia e Bazzocchi) citando un testo fondamentale come L’angoscia dell’influenza di Harold Bloom: “Le opere dei nostri antenati sono indebitate nei confronti dei successori, se non diminuite, al punto che se i morti ritornassero vestirebbero i nostri colori e parlerebbero con le nostre voci”. Certo è che l’acquisizione consapevole dell’idea di Antico da parte dell’arte, segnatamente nell’ultimo secolo (qui si va da un De Carolis del 1903 a un Adami del 2011), è determinata a sua volta da una presa di coscienza della complessità culturale e linguistica, oltre che meramente temporale, del concetto di pre-esistente. (Detto per inciso, lo stesso può dirsi in letteratura o musica: certo Stravinskij, ma anche Busoni, e persino Schoenberg).
Le sette sezioni lungo cui corre l’esposizione allestita al MAR da Claudio Spadoni – con provenienze assai diverse ma da collezioni gallerie e musei italiani – bene sintetizzano tale complessità. Forte l’impatto della prima – il titolo cita Carrà, “Quel che non so che di antico e di moderno” – dove i bronzei tiroirs incassati nella Vénus de Milo di Dalì fan scattare il cortocircuito della mimesis in faccia al visitatore che entra, ma che può subito riprendersi nell’ironico Savinio de Il vecchio e il nuovo mondo. De Chirico, qui anni ’50, fronteggia l’allure metafisica con il Rappel à l’ordre di Funi Sironi e Oppi, ma anche con il divisionismo boccioniano o il d’aprés di un giovane Guidi. Seconda sezione divisa per generi: nature morte di Morandi e Sciltian, in terracotta di Leoncillo; paesaggi da Utrillo a Gnoli; ritratti: quelli anni ’30, di Severini e Capogrossi, ineccepibili quelli di Donghi e Manzù, inquietante il Music che guarda a un Paolo III al modo di Bacon, e lo rimpiazza in mostra, tirato dentro un po’ a forza quello di Picasso.
Le sezioni che seguono – “Turbamenti barocchi” e “Il mito e il sacro” – trattano il tema nel suo elemento naturale, con saggi esemplari di rispecchiamento: un magnifico Prigione di Mirko, un Vedova prima maniera d’aprés Tintoretto, Saffo di Funi, Ippolito e Fedra di Salvo, la Crocifissione di Dalì dei Vaticani. Le ultime tre sezioni – “Archeologie, Citazioni, L’attualità dell’antico” – riaccendono nel segno del virtuosismo erudito e della proiezione intellettuale cortocircuiti con i modelli prescelti. Temi obbligati: Venere fra Klein, Man Ray, Pistoletto; Monna Lisa nel Duchamp del manifesto e in Baj; Paolini e la seduzione del narcisismo mimetico. E ancora, ovvi, Warhol, Mitoraj, Ceroli, Ontani, Vettor Pisani, Mimmo Jodice; meno ovvi, tre piccoli Jirì Kolàr. A chiudere, la lenta movimentazione di clima fiammingo nel video Il quintetto del ricordo di Bill Viola.
Alla visita della mostra si può aggiungere, piacevole bonus, il nuovo allestimento della Collezione Moderna e Contemporanea, oltre a un programma di incontri sul tema. Si consente così al MAR di proseguire la consuetudine di proporsi come momento culturale “diurno” alternativo a spiagge estive e complementare ai prossimi eventi serali di musica e spettacolo in cartellone al Ravenna Festival.
Luigi Abbate
mostra visitata il 25 febbraio
Dal 21 febbraio al 26 giugno 2016
La Seduzione del”Antico
MAR, Museo d’Arte della città di Ravenna
Via di Roma, 13
Orari: da martedì a giovedì 9:00-18:00 venerdì 9:00-21:00, sabato e domenica 9:00-19:00
Info: www.mar.ra.it, Tel: +39.0544.482477