Violenta gli occhi e disorienta le menti il lavoro di Bert Feddema. Al centro dell’ambiente espositivo, tra un groviglio di cavi elettrici, una serie di elementi che riproducono palazzi e grattacieli. Mentre alle pareti interni spogli e vuoti compaiono su cinque grandi tele. Un’alternanza fra interno ed esterno, in scala dimensionale invertita, che rende impossibile qualsiasi forma di reazione, condannando ad una visione distaccata e impersonale. Una sensazione straniante che si amplifica se vengono spente le luci nella galleria. I neon dai differenti colori, che illuminano i modellini degli edifici, si uniscono e confondono alle opere sulle pareti che, attraverso l’uso di tinte fluorescenti, dilatano e perdono completamente contorni definiti. Una visione al buio, riprodotta nelle fotografie all’esterno dello spazio installativo, che volutamente sollecita il ricordo di una città di notte. Lo sfavillio delle insegne luminose, il brillare dell’illuminazione è ciò che realmente risalta, lasciandoci semplici spettatori esterni. Ruolo che tuttavia non differisce da quello dall’artista.
Tutte le opere, infatti, sono firmate con una sigla HTBT (High Tech Brain Technilogies), una Multinazionale nella quale Feddema ha fatto confluire tutti i suoi interessi (Tecnologia, Scienza, Architettura). Una società che esiste solo attraverso i propri prodotti e che intende sviluppare e potenziare le capacità umane. Una ricerca che riflette sui mezzi suadenti e manipolatori del mercato e della comunicazione e che s’incentra sull’immagine e sulla sua percezione. L’uso del colore fluorescente trasforma un’immagine reale in una visione meccanizzata, elettronica, che nulla ha più di naturale. Sottratta la vitalità, il colore diventa filtro cromatico che identifica determinate categorie (Radiated Orange, Active Yellow, Atomic Blue, Genetic Pink, Neuro Green) attraverso le quali l’artista riscrive il reale.
E lo schermo, la visione mediatica, diventa l’unico mezzo che permette di comunicare e relazionare, traducendo così l’ambigua fusione, tra intervento creativo e controllo emotivo, che contraddistingue da sempre il lavoro di Feddema. Intenzione che l’artista sta sviluppando in un progetto per una televisione digitale della quale lui stesso è regista. Una riflessione sul processo di Produzione–Comunicazione–Consumo che trova un’interferenza creativa nell’intervento del Sure Creative Lab. L’opera presentata nella Louse Gallery, Low Tech Handmade Objects, riporta l’esperienza artistica all’età della pietra. Uno schermo interattivo viene messo a disposizione per poter realizzare il nostro graffito, spostando semplicemente gli elementi grafici presenti: dal bisonte al cacciatore. Un ritorno alle origini ironico e pungente che porta con se la considerazione di come il gesto artistico, manuale, sia attestazione di esistenza e d’identità.
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