Si avvia alla conclusione il centenario della nascita di Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), il pittore italiano che come pochi altri ha influenzato il secondo Novecento, insegnando agli artisti la tragica bellezza della materia, permettendo, come disse Argan, non “alla pittura di imitare la realtà ma alla realtà di imitare la pittura”. Mentre Città di Castello, luogo natale dell’artista e sede della Fondazione a lui dedicata, festeggia il tutto esaurito e il Guggenheim di New York ha da poco concluso la grande retrospettiva “Alberto Burri: the trauma of painting” con migliaia di visitatori giunti da ogni parte del mondo, in tutta Italia, da Milano a Gibellina, passando per Sansepolcro, si celebra il maestro umbro, i suoi rapporti intellettuali e la sua fervida creatività. Non si sottrae ai festeggiamenti la Calabria, dove il Museo d’Arte dell’Otto e Novecento (MAON) di Rende, a pochi chilometri da Cosenza, rende omaggio al grande artista con la mostra “Alberto Burri e i poeti. Materia e suono della parola” a cura di Bruno Corà, presidente della Fondazione Burri, e Tonino Sicoli, direttore del Museo.
La mostra, a qualche settimana dalla conclusione, si prepara a superare ogni più rosea previsione, affermandosi come uno degli eventi espositivi calabresi più visitati di tutti i tempi. A decretarne il successo non è solo la fama dell’artista ma anche il taglio scientifico, un approccio del tutto particolare, che non punta l’attenzione su un periodo o su una specifica produzione, ma ripercorre i rapporti dell’artista con i poeti e la poesia, offrendo al visitatore una lettura multidisciplinare, capace di travalicare l’ambito esclusivo delle arti visive.
“Per chi conosca appena un poco la biografia di Burri – ha scritto Bruno Corà – questa è una mostra attesa. Burri era un poeta che esprimeva la sua poesia nelle opere d’arte. Scabra, intensa, personale e del tutto universale. Che proveniva dal profondo e scava nel profondo dell’interlocutore. Anche per questa sua sensibilità, egli intesse rapporti intensi, prolungati con alcuni dei grandi poeti del suo tempo, confrontandosi, anche vivacemente, con loro, illustrando delle loro opere, inglobando il loro sentire nelle sue opere”.
Furono proprio due poeti, Libero de Libero e Leonardo Sinisgalli, ad introdurre Burri nell’ambiente artistico romano, all’indomani del rientro dell’artista dalla prigionia americana. Ne promossero la produzione e firmarono il testo critico della sua prima personale, quella della galleria La Margherita nel 1947. È quello l’inizio del fecondo rapporto tra Burri e i poeti, una storia colma di aneddoti e di felici intuizioni, che la mostra calabrese racconta con sufficiente dovizia.
Un allestimento arioso e ben equilibrato connota le sale dell’ammezzato e del primo piano di Palazzo Vitari, rendendo giustizia alla fervida mente di Burri e alla sua indipendenza sul piano della poetica. La sua più che un’autonomia creativa si configura come una creazione autonoma. Egli, infatti, non solo non ha mai fatto parte di alcuna tendenza, ma ne ha generato una tutta sua, nota come “arte materica”, di cui ancora oggi gli artisti continuano a sondare le molteplici potenzialità.
Ad accogliere il visitatore è la prima sezione, composta da circa una decina di opere litografiche eseguite tra il 1970 e il 1983 per Emilio Villa, poeta, biblista, promotore d’eventi e di personalità artistiche (non solo Burri, ma anche Gastone Novelli, Claudio Parmeggiani, Gino De Dominicis e tanti altri). Per l’amico poeta Burri ha eseguito una serie di opere grafiche da inserire in un volume dedicato a Saffo. Opere inedite, provenienti dalla Fondazione e mai esposte prima, in cui l’intreccio delle linee e le cromie accese rievocano iconicamente particolari anatomici e sistemi linfatici, rivelando una volta di più la formazione medica dell’artista.
Il piano nobile è invece occupato dalla seconda e più grande sezione, composta da ventisei opere di piccolo formato, eseguite tra il 1953 e il 1954, ancora una volta per le copertine di Villa. Trame di segni neri, rievocative delle suture dei sacchi ma anche tangenti la trasfigurazione surrealista, guidano e assemblano, su tele indurite da stesure collose, inserti in foglia d’oro, tracce pigmentate, cuciture e inserti materici. Punta di diamante della sezione e dell’intera mostra è il grande Cellotex Eor 1 del 1985, in cui il raggrumarsi della pittura rivela la propensione materica dell’artista. Un’opera eccezionale, meritevole da sola di una visita.
Non solo tele ma anche libri, rigorosamente in vetrina: due copie di Variazioni, edito da Villa nel 1962, tirato in sole 70 copie, ciascuna delle quali impreziosita da un piccolo cretto e una copia di Dialoghi del 1968, volume in 59 copie contenente le lettere d’amore tra Giuseppe Ungaretti e Bruna Bianco, pubblicato per gli ottant’anni del poeta. L’esemplare in mostra non solo mostra la combustione di Burri in perfetto stato di conservazione ma reca anche la dedica del poeta all’artista. Fu proprio Ungaretti, durante una visita alla personale allestita alla Biennale di Venezia del 1966 ad asserire “stupenda sala di Burri, l’ultimo pittore rimasto nel mondo. Il resto o è vecchio o è stupido. La pittura è morta. La poesia è morta”. Affermazione eccessiva ma che bene rende il momento. L’arte aveva iniziato a guardare altrove.
Carmelo Cipriani
mostra visitata il 19 gennaio
Dall’11 novembre 2015 al 27 febbraio 2016
Alberto Burri e i poeti. Materia e suono della parola
Maon, Museo d’Arte dell’Otto e Novecento
Via de Bartolo 1, Palazzo Vitari, 87036 Rende (Cs)
Orari: da martedì a sabato, dalle 10 alle 13.30 e dalle 15.30 alle 19
Info: 0984444113 – 3927748505, www.maon.it