A un anno dall’apertura celebrata con l’omaggio al figlio più illustre della città –
Mimmo Rotella, con la mostra
Lamiere – il Marca di Catanzaro dà spazio a un altro protagonista indiscusso del Novecento, colui che in molti riconoscono come anticipatore della Pop Art:
Alex Katz (New York, 1927).
Ma se la Pop Art di
Warhol scrutò il mondo con sguardo critico, mettendo in discussione gli aspetti standardizzati del pubblico attraverso una semantica parodistica, Katz intraprese negli stessi anni una seconda strada, osservando “
le infinite variazioni e i modi in cui l’eccentricità individuale introduce una serie di discrepanze vitali nel tessuto superficialmente omogeneo del suo mondo”, come ha scritto Robert Storr.
Reflections è un elogio al figurativo puro. I soggetti protagonisti sono “
antieroi, personaggi del contesto familiare, amici, scrittori, poeti, frequentatori dei party”, sostiene Alberto Fiz, “
tutte figure che diventano archetipi destinati a sottolineare la pittura come unica forma di conoscenza evidenziata da un’indagine dove viene privilegiato lo stile nei confronti dei contenuti”.
Il percorso espositivo è caratterizzato da un raffinato minimalismo, che amplifica la forza dirompente delle opere in mostra. I temi del racconto visivo creano i contorni di un cammino fascinosamente straniante, attraverso fenomeni di una natura apparentemente riconoscibile e immortalata in grandi tele (alcune monumentali, di circa sei metri di lunghezza). Sono lavori in larga parte provenienti da collezioni private e in parte inediti.
Una personale importante sull’ultima produzione di Katz – si tratta in maggioranza di opere eseguite tra il 2008 e il 2009 – e che rivela il perpetrarsi di un’analisi sempre più vitale sui pilastri della sua ricerca: i ritratti e i paesaggi. La soglia di un mondo riflesso e in costante movimento, dove anche i volti appaiono come un fermo-immagine cinematografico su uno schermo dove tutto
appare reale.
Procedendo in questa direzione “filmica biforcuta” (nella duplice accezione di film in quanto materia e di film in quanto immagine), si può dire che lo stile di Katz ricordi l’intuizione cinematografica concettualizzata da
Pasolini: “
soggettiva libera indiretta”, ovvero la realtà ripresa come sintesi fra i poli oggettivo e soggettivo. “
Una faccenda stilistica e non linguistica”, come spiega Deleuze, “
un monologo interiore privo dell’elemento concettuale e filosofico astratto esplicito”. Una visione autonoma dal contenuto, in cui l’immagine – oltre la contingenza del reale – è l’unico verso poetico. In tal senso,
Reflections e l’intera opera di Katz aprono nella storia dell’arte una nuova strada percettiva.
Da segnalare infine il film proiettato al museo,
Alex Katz Five Hours (1996), diretto da
Vivien Bittencourt e
Vincent Katz, nel quale l’artista ripreso nel suo studio è colto durante un processo creativo che rivela passione, brutalità e leggerezza. Il gesto di una pittura “
non urlata né espressionista, ma dal respiro a lunga gittata”, ha sottolineato Fiz.