Linea seguita analogamente dai
cinque artisti invitati – attivi “a sud dell’arte” e più o meno noti alla
ribalta nazionale – che hanno avuto l’opportunità di vivere il faccia a faccia
con step significativi della
sperimentazione del maestro umbro, testimoniati da opere grafiche attinenti ai
cicli delle Combustioni, dei Cretti, dei Bianchi e Neri e delle Acqueforti.
Sala per sala, sezione per
sezione, si scopre il dialogo – a volte stimolante ed equilibrato, a volte
debole o forzato – con l’opera maestra, sorretto certamente dalla scenografia
della pietra chiara del bel castello angioino. Quello che manca all’attenta
partitura critica – per certi aspetti intellettualistica – è la collocazione
nello spazio temporale degli artisti ospiti, di cui non ci è dato conoscere
l’anno di nascita ma esclusivamente il paese d’origine, lacuna che rende
sicuramente più spassionata la fruizione delle opere, ma intralcia il giudizio
relativo al potenziale di innovazione di ognuno.
Di
fronte alle Combustioni, il tarantino
Alfredo Quaranta rilegge con
soluzioni déjà-vu il tema consunto di
un’atavica saggezza calpestata, incarnata da libri intrisi di catrame; nella
seconda sala, assumono l’aspetto di una riedizione in chiaro dei famosi cretti,
le stuoie inedite del cuneese Ono
Emiliani, soluzioni che ne richiamano l’organicismo e la modularità
all’infinito.
L’azzeramento
cromatico di un’acquaforte di piccolo formato, grigiastra, di Burri dialoga col
maestoso muro di cristallo innalzato da Ada
Costa, artista barese di tradizione concettuale, che peraltro ha anche
sperimentato le “combustioni” nella fase giovanile materica della propria
ricerca, oggi risolta nell’iterato uso del vetro, materiale immateriale alla
vista che diventa Confin-o, passaggio
valicabile con lo sguardo e l’immaginazione ma assolutamente impenetrabile con
il corpo, evanescente come la spazialità della contigua Acquaforte F di Burri.
La
complementarietà col maestro, con quella partitura delicata che si muove dal
bianco al nero, viene esaltata nella leggerezza degli interventi segnici,
memori del retaggio gestuale su piano bidimensionale, del romano Aldo Bandinelli.
Di contro, una
rivisitazione assolutamente originale del Grande
Nero di Burri sono i due grovigli in ceramica e l’opera-manifesto della
recente fase creativa del più “mediterraneo” di tutti, Iginio Iurilli, Io e il
tempo: logorata, manipolata dalle intemperie fino a ingarbugliarsi e
sfrangiarsi secondo linee fluide e casuali, fa da contraltare visionario alle
relazioni visive della sezione aurea, espresse dalla vellutata litografia del
maestro dell’informale materico, ma soprattutto si offre come “residuo solido”,
affiliato ai concetti più universali della consunzione espressi da Burri,
riecheggiando energie primordiali che tutto muovono e intaccano. Come fa il
tempo, appunto.
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dal 19 dicembre 2010 al 28 gennaio 2011
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a cura di Luca Arnaudo e Roberto Lacarbonara
Castello Angioino
Via Matteotti, 123 – 70042 Mola di Bari (BA)
Orario: da mercoledì a venerdì ore 18-20; sabato e domenica ore 19-21
Ingresso libero
Catalogo Favia
Info: mob. +39 3393906592; info@entropiearte.it; www.entropiearte.it
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