Una striscia d’acciaio nello spazio: più nastri che s’incontrano, alcuni fondendosi in più punti, colore argenteo o rosso vivo. Una scultura mossa gira a spirale e resta sospesa nell’aria, un’altra linea a fettuccia forma occhielli aperti passando dalla parte più alta a terra. Tutto lo spazio espositivo della Galleria Niccoli risulta così invaso da questa creazione frantumata, grande, invadente: visione di staticità e precarietà ad un tempo, materiale pesante con estrema leggerezza nelle linee. Acciaio, sì, ma mosso nell’aria.
L’opera, commissionata appositamente, gioca sul senso dell’equilibrio, movimento spaziale della spessa fascia metallica, scultura e non “semplice” installazione. Eduard Habicher (Malles, Val Venosta, 1956) interviene spesso in forma dialogica con le architetture utilizzando anche vetro, ferro, marmo: qui tutto è nitido, essenziale, un vasto ghirigoro nell’aria, morbide, sinuose ombre alle pareti. Il pubblico può toccare quella forma plastica, sostare dentro nella sagoma più interna, simile ad una spirale interrotta.
Ritmi spaziali, sentimento di libertà, rigore ed emozione nella fisicità, nuove relazioni con la scena dell’opera che s’aprono ad ogni passo: lo sguardo che va scoprendo diversi rapporti, seguendo quelle forti e lievi strisce d’acciaio, grandi e pesanti e pure così felicemente agili. Colore naturale e rosso, linguaggio plastico e originalità dell’esperienza: anche per chi entra e si lascia avvolgere da quelle sculture astratte ma non asettiche, strutture rigide e flessuose ad un tempo.
Apertura e chiusura, linee che convergono e conquistano la libertà: acciaio duttile e freddo, flessuoso e statico. Forse, non sarà più possibile entrare nella galleria senza ripensare, almeno per un istante, a quest’opera che l’ha abitata, immaginarla nuovamente, nata, come ricorda il titolo, per quello spazio. Così, semplicemente, una scultura.
valeria ottolenghi
mostra visitata il 9 febbraio 2005
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