Sembra voler dimenticare di essere stato pittore. Esordio realista affine alla Nuova Figurazione romana, ma modulato come nella Nuova Oggettività tedesca, piglio sottilmente ecologista, sessantottino; strada abbandonata nel ’77, perché “
conclusa in un formalismo da frigorifero luccicante”. Ma i recenti sprazzi cromatici e le
nuance dei medium naturali rivelano l’antica vocazione.
In una mostra ben calibrata negli spazi votati alla pregiata arte del passato, ripercorrendo cronologicamente
à rebours la sua storia creativa,
Iginio Iurilli (Gioia del Colle, Bari, 1943) apre la corposa antologica con
Io e il tempo: un “non finito” del 1998, opera in mdf ispirata alle conche saline delle scogliere, mai più esposta e abbandonata alle intemperie; una struttura amorfa che, ridipinta con tempera e sabbia nera, apre “
un link con i suoi inizi e forse un nuovo punto di svolta”. Ribadisce l’empatia con la natura della Puglia -dalla prima formazione col fotografo
Angelo Saponara, influenzati da
Mario Cresci, partenza attenta ai
Giochi d’infanzia (re-interpretati nelle “cerbottane”)- e si riflette più universalmente nel mondo organico di una natura intellettualizzata, evoluzione contemporanea di alto e bassorilievi, in sale, sabbia, polvere di marmo, terracotta e pigmenti colorati.
Quest’inquieta scultura rivela l’aggancio ai cimiteri di copertoni raffigurati da esordiente e l’apertura moderna alle pitto-sculture; come in
Mare Morto, nero magma che trattiene immondizie quotidiane, aggiornamento demoralizzante di quegli assemblaggi vitalistici di raspi d’uva, restituiti in cromie pop alla fine anni ‘70.
Pietro Marino (il critico barese che ha raccontato la mediterraneità creativa dei pugliesi, provando a collocarli in ambito internazionale) ne traccia l’excursus: dalle figure mitizzate dei polimaterici -esposti in coppia con
Mimmo Paladino in Belgio, sul finire degli anni ’80- agli scudi, lance e forme tribali del
Sogno africano del ’90; foglie allungate e dischiuse che, nella morfologia, nascondono sensuali allusioni erotiche. Un’evoluzione che si materializza nel gigantismo di cozze o ricci di mare, rievocati sulla spiaggia di Polignano nella storica mostra-omaggio a
Pino Pascali nel 1992; “arte ambientale” di cui Iurilli, insieme al gruppo Zelig, è stato precursore nel meridione d’Italia.
Ma è nel bianco cristallino di forme concentriche degradanti e sovrapposte, anemoni e spugne mutate in efflorescenze (consacrate nella mostra da Sargentini a Roma, nel ‘96) che si riconosce il migliore Iurilli. Come nell’abbacinante
Stanza-Scatola qui ricostruita che, per un gioco percettivo, si estende all’infinito; ambiente specchiante non-abitabile ma scrutabile dall’esterno, copre/scopre lattee sagome decrescenti. Intellettualistico valzer in bianco, di maggiore intensità emotiva rispetto alle replicate corolle rosse, blu, fucsia, “modello” in cui Gianluca Marziani rintraccia un’attitudine matematica per la serialità “alla Iurilli” e un anelito a dialogare con le leggi cosmiche.
Ravvisabile concretamente nel curioso monumento al
Megariccio, il suo più ardito e futuribile progetto.