Il sempre più attivo Abruzzo “sforna” un altro artista e un altro evento, dopo la tanto discussa mostra I love Abruzzo, che vedeva tra i partecipanti anche Giuseppe Stampone (Cluses, Francia 1971).
L’interazione del fruitore con l’opera d’arte è il pensiero che muove la ricerca dell’artista teramano. Non a caso Marco Senaldi nel suo testo in catalogo parla proprio di ribaltamento dello spettatore. La strada percorsa da Stampone sviluppa un invito alla partecipazione sussurrato, talvolta impercettibile. Come nel caso di Agena e La fabbrica di giocattoli che propone un’idea di percorribilità della stessa installazione sviluppata con un percorso di piccole foto a terra, come invito verso le grandi immagini a parete. Una reale scelta di campo a cui corrisponde –in una sorta di rimando ad associazioni psicanalitiche– un percorso a ritroso nella memoria e una successiva emersione di inclinazione personale.
Più fisico è il processo partecipativo in Autoritratto di mitomane in cui evidente è la citazione degli specchi di Michelangelo Pistoletto, solo l’ultimo –in termini cronologici– dei richiami alla storia dell’arte, una storia che Stampone sembra conoscere a fondo, al punto da usarla e rielaborarla a suo modo. Dal medioevo al contemporaneo. Insieme ad un solitario riferimento alla cronaca, che emerge ne Il viaggio della speranza, sicuramente l’opera più efficace tra quelle presentate, grazie alla scelta del sonoro, al taglio della foto su light box e al leggero occhieggiare al reportage, dal quale però l’artista prende subito le distanze. Anche attraverso la scelta di auto-raffigurarsi, primo interprete, con un atteggiamento però poco accogliente nei confronti dello spettatore che intende coinvolgere, anzi, perlopiù con un piglio giudicatore.
Emerge ne La gabbia dell’arte, installazione sulla facciata della Pinacoteca Civica, ma soprattutto in Sinestesiadel 2003, il solo lavoro che prevede una reale azione interattiva del visitatore che, inserendo una moneta in una colonnina, dà il via allo scrosciare di applausi del teatro raffigurato nei tre light box disposti a formare un semicerchio, al cui centro lo stesso spettatore si ritrova come destinatario della standing ovation. Un progetto già visto all’anteprima napoletana dell’ultima Quadriennale e che lascia un poco perplessi tradendo, nella risoluzione della istallazione ambientale, l’iniziale intento partecipativo. La voce introduttiva che informa il visitatore di essere divenuto protagonista e la poco avvolgente folla nelle foto lasciano pensare ad una rappresentazione più che ad una vera partecipazione. Decisamente meno efficace di Sala para una star, opera del 2000 dello spagnolo Jorge Peris, vista un paio d’anni fa a Terni in occasione della mostra Elettricità. L’interazione, nell’opera di Peris, si concretizzava al varcare la soglia della stanza in cui le luci accecanti e gli applausi accolgono –in una vera immersione– il visitatore, in questo caso reale e totale protagonista.
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