12 dicembre 2011

fino al 29.I.2012 Quelli che restano Milano, Spazio Oberdan

 
Stralci di società, visioni di città in perfetto stile futurista e digressioni sulla natura. Opere che accompagnano una narrazione che spesso da intima diviene universale...

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Lo Spazio Oberdan di Milano si è connotato negli ultimi anni per una serie di ricerche che molto hanno avuto a che fare con lo spirito del territorio, del genius loci, di indizi che portavano ad una visione dell’arte che attingeva un po’ dalla geografia e un po’ dalla sociologia, in una dimensione che spesso toccava le corde della Narrative Art e dell’arte pubblica con intelligenza e rigore. Peccato, purtroppo, che le mostre non siano poi così frequenti ma tant’è, godiamoci per ora questa “Quelli che restano – Stati d’animo del paesaggio contemporaneo”, titolo ovviamente di derivazione boccioniana, che a Milano aveva costruito tutta la sua carriera e la sua pulsione di pittore futurista della velocità e del dinamismo. Una mostra non eccessivamente coraggiosa ma che mette insieme alcune tensioni decisamente degne di nota sul tema di quella che potremmo definire un’antologia antropologica di alcuni tipi di paesaggio che vengono trasmutati in indicazioni sociali, in punti di vista urbani o, purtroppo, in inutili speculazioni pittoriche. C’è Debora Hirsch che con il video Uphill racconta, in uno scenario brasiliano post-coloniale (e speculare), la scalata sociale di invisibili figure che si materializzano e che salgono una strada di ciottoli neri a rallentatore, invisibili e soli quasi a sapere che forse mai raggiungeranno la meta in un paesaggio dalla luce abbacinante e decisamente metafisico.

Adrian Paci porta a sua volta un gruppo di “umanità instabile”, di immigrati, sulla pista di un aeroporto fantasma, disponendoli e fotografandoli in linea, The line appunto, in attesa di un volo o semplicemente di una scaletta di imbarco che non ci sarà. Paola Di Bello esegue una “dromografia” ispirata proprio alle parole di Paul Virilio e del suo saggio “Città Panico” dove la velocità spaziale e temporale spazzano via la percezione reale dell’universo, modificandone i connotati. Sul cavalcavia di viale Ceneri, cintura a Nord Ovest di Milano, Di Bello scatta per i due chilometri di ponte un serie di fotografie in successione, mostrando gli incroci sottostanti, gli edifici affacciati alla striscia d’asfalto, i negozi e le insegne degli esercizi sottostanti: un esercizio per ridare lo status di luogo a quelle zone che, attraverso la velocità, vengono annullate. E sono invece due elementi naturali che cortocircuitano la percezione in una vecchia opera del 1992 di Mario Airò: un ramo d’albero e una luce stroboscopica a intermittenza in una stanza buia creano un favoloso fulmine in odore di arte povera. Una visione insolita e molto poetica in grado di ribaltare la percezione che si ha del reale e della sua messa in scena, così com’è romantica la Milano a strappo di Stefano Arienti dove immagini di tutti i tipi della metropoli, recuperate da quotidiani o giornali locali, che vengono delicatamente strappate dopo aver punteggiato i bordi con un punteruolo, esaltando così un effetto francobollo. Una collezione di fotografie anonime quotidianamente rinnovabile, dagli scorci noti o meno, ma non per questo meno preziosa, raffinata. Ma è il lavoro di Andrea Mastrovito probabilmente il più interessante, il meno appiccicato a un’idea di paesaggio reale ma che prende in esame un paesaggio metaforico e metafisico costellato di speculazioni personali (da parte sua e inevitabilmente del pubblico): L’amore dipinto è stato ispirato da una vecchia canzone dei Soft Cell, Tainted Love, riproposto in numerose cover che, seguendo la poetica del testo, si può tradurre come un amore dipinto, di facciata, nonostante “Tainted” significhi marcio, avariato.

Mastrovito dipinge l’amore sulle pareti dello spazio Oberdan con un meccanismo che alterna un minuto di luce e uno di buio: Nel minuto di luce vengono riproposti in loop stralci della canzone e nel minuto di buio…magia…due amanti in un bosco di betulle fosforescenti con una pioggia di stelle adesive. Ecco il nostro amore dipinto, nella nostra anima e sulle nostre pareti.
 
 
matteo bergamini
mostra visitata il 2 dicembre 2011
 
Fino al 29 Gennaio 2012
QUELLI CHE RESTANO -Stati d’animo del paesaggio contemporaneo-
A cura di Mimmo di Marzio
Spazio Oberdan
Viale Vittorio Veneto, 2
20124 Milano
Ingresso libero
lunedì chiuso
martedì e giovedì fino alle 22.00
Telefono: 02.7740.6300
www.provincia.milano.it/cultura
 
[exibart]

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