La Pop Art ha portato in auge l’appropriazione di immagini mass-mediatiche da parte dell’arte, dando un senso di celebrazione acritica ad una realtà che fino ad allora era, tutt’al più, giudicata di gusto appunto popular. Man mano che la società industriale si affermava come società estetica è però venuto meno il bisogno di riscattare questo bombardamento iconico, ormai largamente diffuso e accettato. L’industria dell’immagine è divenuta un dato di fatto, seppure imprescindibile.
Questa è l’ottica del giovane tedesco Johannes Kahrs (Brema, 1965), per la prima volta in mostra presso un ente museale italiano.
Nelle cinque sale dedicategli, più che l’ostentazione di un discorso sul ruolo sociale dell’immagine, si percepisce una riconquista degli eventi dipinti. A partire dalla tecnica, manuale e relativamente lenta (Kahrs realizza al massimo una ventina di opere all’anno). Non a caso il titolo della mostra (Men with music) comincia con la parola Men: si parla di uomini. Carne, gesti, eventi minimi, guardati da un’ottica altrettanto umana. Le tele ed i pastelli di Kahrs propongono in medio formato particolari ingranditi di persone in azione; spesso sono raffigurati degli arti, a volte dei volti.
Si riconosce la natura derivata dei dipinti, con onestà. Sono brani tratti da immagini trovate, foto di giornale o fotogrammi di film, parte dello sterminato patrimonio visivo della nostra società. Kahrs ne riproduce anche le imperfezioni tecniche, ammette il suo debito, ma ripudia l’emulazione iperrealista, lo scopo è andare oltre. Cancellate le identità, ipertrofiche in altri regimi dell’immagine, soppressa ogni ambientazione storica o sociale attraverso stesure compatte di colori scuri. Per dirla con McLuhan, dallo stereotipo si passa all’archetipo. E si tratta dei simboli della nostra società, prelevati già fatti: violenza quotidiana, spesso sottile e subdola, assenza, masochismo, sessualità.
La raffigurazione è sottratta al tempo narrativo, alla consequenzialità, diventa un oggetto a partire dal quale s’instaura un confronto critico.
caterina porcellini
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