“Una buona condizione per capire mi sembra quella di non aver mai niente da difendere…”. Dalle parole di Mattia Moreni (Pavia, 1920 – Brisighella, 1999) trapela già la natura del suo modus vivendi. Da sempre slegato da ogni compromesso, definisce il suo atteggiamento “apocalittico”, dotato di “antenne flessibili a carattere dubitativo”. Il suo spirito ribelle da sempre lo ha reso un personaggio scomodo e impossibile da etichettare. Denigrato spesso dalla cultura ufficiale, fu invece uno degli artisti più significativi del secondo Novecento.
Antonio Vanni ha saputo ben allestire e curare questa prima antologica a Terni selezionando quaranta capolavori, dall’immediato dopoguerra agli anni Novanta. È l’opera di un artista “scorretto”, che ignorava ogni conformismo culturale. Le sue tele sono forti come pugni nello stomaco, colgono di sorpresa, zittiscono o invitano al viaggio emozionale.
Al piano terra i lavori degli anni Cinquanta, quando insieme ad Afro, Birolli, Vedova, Turcato, Morlotti, Santomaso e Corpora fonda il Gruppo degli Otto. Moreni coniugò, in modo del tutto personale, l’esistenzialismo di Jean Paul Sartre e Albert Camus con eruzioni pittoriche ribelli e cariche di non-sense. Nel ‘64 è descritto come “il grande Espressionista della pittura europea contemporanea” dal critico francese Pierre Restany.
L’esposizione di Terni si sviluppa su più piani e in un auditorium, un’elegante habitat calato in un’atmosfera intima. Fra un caldo parquet color noce e luci soffuse, ci si trova davanti alle imponenti tele, straripanti di materia: il gesto risulta subito elemento fondante della poetica informale in atto. Ecco capolavori come Sterpi sulla collina (1955) e La caduta (1956).
Nella sua ricerca usa il tradizionale pennello, ma anche spatole e punte di legno, con cui rimuove, modella, amalgama, maltratta il colore, generando grumi, imbrattamenti, che agli occhi dell’École de Paris appariva solo una pittura “sporca”. Nonostante la sua gestualità compulsiva, resta ancora un margine di dialogo col mondo visibile. Pensiamo ad esempio a Uomo dietro la staccionata. La peculiarità di Moreni sta nella destrutturazione del colore, nel violare le regole della peinture. Agire sul mezzo, cercando di non deteriorare l’opera con la tekné, dipingendo “di prima”, portando l’arte alla sua primitiva incontaminazione.
La serie di Angurie scuoiate, aperte, inermi, pronte ad essere mangiate, sono una chiara allusione al frutto della terra, ma anche alla donna e al suo sesso. Dopo la vagina dipinta in modo impeccabile da Courbet nel 1866, Moreni porta alla Biennale di Venezia del ’52 lo stesso soggetto, ripetuto più volte nelle sue opere come motivo centrale. Non c’è scandalo nei salotti della Biennale per i suoi dipinti, che hanno l’alibi del voyeurismo, ed essendo sfocati e allusivi, inducono ad immaginare soggettivamente l’oggetto del desiderio. In La vulva flipper tramonta(1982), l’organo femminile sboccia come una rosa al mattino bagnata di rugiada. Il motivo dei genitali rafforza in lui a tendenza ribelle di delegittimare ogni tabù sociale.
Ma le formulazioni più forti devono ancora arrivare. È con la fase di Regressivo Consapevole che i suoi processi pittorici assumono nuova veste. Grandi facce di umanoidi si stagliano su tele enormi, frasi new-dada -come l’ultima sigaretta per l’ultimo umanoide– parti integranti delle opere. Un’ingenuità infantile unita ad una sorta di primitivismo richiamano bene l’Art Brut dubuffettiana. Moreni si opponeva al “sano” buon senso borghese che portava ad emarginare i pazzi, i disabili, i malati di mente.
Negli anni della legge Basaglia, l’artista rovistava negli archivi del Gaslini e di altre case di cura in cerca dei segni di vita, di quella parte di società relegata in un angolo. Regredendo consapevolmente all’infanzia e ascoltando i folli, si possono rompere gli schemi e le convenzioni che inibiscono il naturale sviluppo umano e aprire finalmente quella che Moreni chiamava la gioia panica delle nuove generazioni.
Le ultime opere degli anni Novanta hanno linee veloci, grandi campi di colore, uno stile quasi fumettistico o da grande manifesto, dove evidente è la denuncia dell’era elettronica, che trascinerebbe l’uomo in uno stadio di arida meccanizzazione culturale. Moreni si spense il 29 maggio 1999 nella sua tenuta di Brisighella, in provincia di Ravenna, dove lavorava dal 1966.
valentina peppucci
mostra visitata il 20 giugno 2007
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