La sala dedicata a Pietro Roccasalva (Modica, 1970) ha i soffitti alti e le pareti allungate. È una sorta di corridoio cieco, un locale di disimpegno buio. Quasi completamente oscurato e all’apparenza interrotto. La scelta di installare le uniche tre opere dell’artista siciliano in questa stanza non è casuale. L’artista ha realizzato tre lavori appositamente per formare e inscenare quella che lui stesso definisce una “situazione d’opera”. Tre fasi che seguono lo stesso momento e lo superano attraverso: una scultura, un film in 35 mm e un disegno a pastello.Tre capitoli che rappresentano, in sequenza sinottica, il clinamen del racconto e del destino umano.
La truka era una macchina utilizzata nell’industria del cinema, che fin dai primi anni ’50 serviva per creare effetti speciali, fuori dal tempo di ripresa, cioè direttamente sulla pellicola, in fase di montaggio del film. Con lo stesso nome di questo dispositivo sofisticante, distorcente è stata intitolata la prima personale italiana di Roccasalva. Un rimando, un monito e uno sguardo trasparente sul legame obliquo tra arte e vita. Ad accogliere il visitatore, a partire dalla piega dell’angolo d’entrata, è fissata la prima scultura. In coincidenza dell’incontro tra le due pareti d’ingresso, si tende un’asta, un enorme arco tenuto in tensione, pronto a scoccare.
Il secondo gradino della scala esistenziale di Roccasalva è la proiezione in 35mm di un filmato realizzato prendendo a prestito la citazione sonora e un unico fotogramma del film Andreij Rublëv di Andrei Tarkovsky, del 1969. Per 8 minuti il proiettore rimane fisso sul piano ravvicinato, in procinto di schianto, di un prato in bianco e nero. Mentre in sottofondo si ripete il prologo allarmante della caduta dei protagonisti con una mongolfiera, il sonoro, invece, si ripete in lingua originale spargendo fruscii e rumori intradiegetici. Come all’interno di un cortocircuito costante, l’andamento della storia si conclude, mentre le immagini si ipostatizzano in un unico fotogramma e smettono di accompagnare lo sviluppo del film di Tarkovsky. L’idea di moto perpetuo, mai unico e per questo preda di sovrapposizioni e passaggi, si ripresenta anche nell’ultima opera in mostra. L’epilogo.
Un disegno a pastello di grandi dimensioni che ritrae il traghettatore per eccellenza, l’ascensorista. L’addetto al transito verticale, fra piani di orizzonti esistenziali. Una sorta di collage prospettico che riverbera i lineamenti storpiati di un Caronte dagli echi baconiani.
ginevra bria
mostra visitata il 5 giugno 2007
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una domanda sul video inerente Andrei Tarkovsky: non si tratta di un progetto a cui stava lavorando Paolo Chiasera? saluti carmine
personalmente non so cosa faccia Chiasera, ma so cosa faceva Gino De Dominicis....
Eghi
si...in effetti anche io lo sapevo...
ilaria, Milano
veramente anche a me sembrava che ci stesse lavorando Chiasera e almeno dal 2005... si può vedere anche dal suo sito.
quest'arte italiana ha proprio poche idee...
Tarkovsky.. ma non ci stava già lavorando Paolo Chiasera da un bel po' di tempo???
... riguardo a Tarkovsky ricordo di aver trovato l'anticipazione di un lavoro già alcuni mesi fa sul sito di Chiasera, lo ricordo perchè la mia ragazza ci sta facendo la tesi sopra....