A distanza di cinque anni (2006), ritorna a esporre da Paola Verrengia a Salerno, l’artista tedesca Claudia Rogge con una serie di opere di grande impatto e struggente coinvolgimento emotivo. “EverAfter” che da il titolo a questa personale è una accurata selezione di fotografie di grandi dimensioni, come Paradise II, Purgatory IV, Inferno I e Prelude I (Diasec 165×215 cm.) ed alcune di piccole dimensioni come Paradise VII, IX, X (Diasec 80×100 cm). Le opere nascono da una riflessione della Divina Commedia di Dante Alighieri, dei tableaux vivants messi in scena dal grande Pier Paolo Pasolini e soprattutto da una attenzione meditata per l’arte Rinascimentale italiana del Cinquecento, del Manierismo e persino del Romanticismo francese di Gericault. In tutto tredici opere di diverse dimensioni. L’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso sono il pretesto per porsi delle domande e forse per tentare di comprendere un pò meglio il nostro presente, il confine impalpabile e conflittuale che intercorre tra amore e odio, male e bene, vita e morte. Guardando le opere di Rogge la prima forte impressione è quella di essere presente “dentro la pittura” con questo “ammasso di corpi” che si agitano freneticamente a cercare di dare un senso alla propria esistenza. Una umanità anestetizzata e corrotta tra vizi, virtù e grandi illusioni. Praticamente un viaggio nelle tenebre e dentro di noi alla ricerca di un qualcosa che possa darci una qualsiasi certezza. Corpi di uomini e donne di bell’aspetto che si dispongono quasi come in un ciclo di affreschi del Cinquecento maturo. “Il titolo EverAfter – dice Claudia Rogge – non è facilmente traducibile perché a secondo della lingua può variare di significato. E’ come dire cosa può accadere dopo che qualcosa accade?” e poi, ancora, “il rapporto con l’opera di Dante è una metafora a cui mi sono liberamente ispirata per cercare di ritrovare l’attualità in alcuni temi esistenziali, religiosi, filosofici”.
La sensazione è quella di come si possa dipingere con la fotografia l’individuo – massa, perché l’artista tedesca non dipinge con il pennello ma con “l’occhio di luce, producendo immagini digitali altamente evolute, utilizzando il nuovo procedimento brevettato Diasec ( un supporto in Pvc su cui vengono montate le stampe fotografiche), che permette di stampare con una più precisa e dettagliata definizione e risoluzione. Inoltre, per fare questo ciclo di opere ci sono voluti più di venticinquemila scatti fotografici in digitale, realizzati in set con circa cinquanta attori ed un lungo lavoro in studio durato quasi due anni. La tecnica utilizzata è “fotografica” ma il linguaggio appartiene chiaramente alla storia dell’arte e in particolare alla pittura italiana. L’artista di Dussedorf sa cogliere le emozioni e le espressioni intense dei personaggi e nel descrittivo e ripetitivo movimento dell’azione dei corpi cerca di costringerci ad una profonda riflessione. I personaggi rappresentati, anonimi, assunti a simbolo di una umanità volutamente impersonale e senza ideali, si muovono dentro lo spazio come in una qualsiasi scena teatrale. In questo contesto, lo spettatore non rimane indifferente, anzi, è costretto ad attivarsi e a prendere coscienza su concetti prioritari come la speranza, la dannazione e persino la morte. Masse in movimento suppongono a scenari inquietanti tra pausa e azione, attivano un forte coinvolgimento non solo fisico ma anche psicologico ed emotivo. In queste opere la realtà visibile viene irreparabilmente “de-materializzata” in uno scenario tra apparente ordine e profondo caos. l’artista scrive : “La massa è spesso associata a pensieri negativi, ricorda le dittature, la schiavitù, in altre parole i mali dell’umanità…” e poi, “Abbiamo un percorso estetico per interpretare le sofferenze dell’uomo”. Rogge è interessata profondamente al concetto di massa e ai modelli umani; dalle sfilate ai rifugiati e agli esuli ammassati in gruppo. L’artista avvalendosi della tecnica dell’elaborazione digitale computerizzata realizza immagini in cui i personaggi rappresentati diventano “segni seriali” della spersonalizzazione umana. Masse intercambiabili colte in una serie infinita di foto, anche di 25.000 scatti come per queste opere, realizzati in un lungo arco di tempo che poi l’artista ha rielaborato con Photoshop selezionando e sintetizzando le presenze in gruppi che si muovono come in una vera performance. Ormai le figure e le presenze, organizzate e strutturate nella ripetizione si definiscono in base a nuovi concetti come la similitudine, la conformità, e l’identità clonata. Insomma, una umanità ossessionata a ricercare la sensualità del dolore e del piacere, ridotta a asettico “clone”.
In questa condizione la ripetizione e la simulazione dei personaggi sa di pura astrazione più che di realtà fisica e oggettiva. Se nelle opere come nella precedente serie Rapport si indagava sul concetto di ripetizione e sulla moltiplicazione all’infinito, tra un pieno e un vuoto, in una sorta di duplicazione ripetitiva di persone rese opportunamente inespressive e identiche ottenute soprattutto attraverso la ripetizione monotona e seriale dello stesso soggetto, ora, in questi ultimi lavori, i protagonisti in scena hanno ritrovato la mobilità, la maestosità e il dinamismo eroico di un tempo tutto storico e si sono trasformati “apparentemente” in personificazioni realistiche. Nonostante tutto, rimangono, purtroppo, dei “Cloni del reale” non proiettati verso una dimensione oggettiva ma essenzialmente mentale e interiore. Attraverso il binomio massa-individuo l’artista ci parla di questo “essere inespressivo e inconsistente”, senza più punti di riferimento, fragile e ridotto a modello identico di se stesso. Solo così – dice Rogge – l’individuo può porsi degli interrogativi e forse rielaborare inaspettate e possibili riflessioni.
sandro bongiani
mostra visitata il 24 ottobre 2011
dal 21 ottobre al 3 dicembre 2011
Claudia Rogge – EverAfter
orario: lunedì/venerdì: 16.30 – 20.30
sabato: 10.30 – 13.00; 17.00 – 21.00
(possono variare, verificare sempre via telefono)
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