La terza edizione di Gemine Muse, diretta da Giacinto Di Pietrantonio e curata per la tranche barese da Antonella Marino, approda nelle sale della Pinacoteca Provinciale, di recente intitolata a Corrado Giaquinto.
Il museo, costituito nel 1928, offre ampia documentazione della pittura pugliese d’epoca medievale, veneta e napoletana sino al ‘700, un’ampia raccolta di opere dell’Ottocento e del primo Novecento arricchite della donazione Grieco (con nomi di spicco come Lega, Boldini, Zandomeneghi, Fattori, De Pisis, Casorati, Campigli, Morandi) ed una sala con numerosi dipinti dei secc. XV-XIX in deposito dal Banco di Napoli: un ottimo spunto per quel ponte virtuale tra passato, presente e futuro dell’arte che il progetto si propone di costituire.
Un confronto duro quello con l’arte classica, che la curatrice ha inteso proporre a tre giovani promesse – Giuseppe Teofilo (Polignano a mare, 1981) in coppia con Michele Giangrande (Bari, 1979), Cristiano De Gaetano (Taranto, 1975)- ed a un artista ormai maturo, Pierluca Cetera (Castellaneta, 1969).
Il “Barabba” di De Gaetano colloquia con l’Ecce Homo di un anonimo veneto del XVI secolo, sfruttando l’antico tema del “doppio”. Se nel dipinto le due fisionomie somigliano, i due mezzi busti postmoderni rivestiti di plastilina rosa, sono simmetrici e “specchianti” nell’opera ispiratrice e confondono “santissimo” e “ladrone” con ironia dolce-amara. Arricchita da un esercizio concettuale che amplifica la catena degli sdoppiamenti: Barabba in ebraico vuol dire “figlio del Signore”.
Vera e propria competizione tra la Prima fila di Cetera e la Ragazza sulla poltrona(1939) di Felice Casorati, uno dei temi principali dell’artista, documentabile sin dal 1919, con la modella nuda o vestita. In linea con lo stile pulito e chiaro della pittura dei dettagli che lo caratterizza, Cetera descrive il proprio striptease con un ambiguo gioco vouyeristico che induce sia a spiarlo nell’intimità quotidiana, sia ad occupare con l’immaginazione le sedie vuote di una porzione del polittico.
Con un gesto di duchampiana memoria, all’arte testimone di storia ed istanze politiche si può anche “dare un taglio”, come fanno Teofilo e Giangrande: la scenografica installazione di due gigantesche lame di forbici che spuntano dal pavimento come la pinna di uno squalo – l’opera è accompagnata dalla colonna sonora dell’omonimo film – taglia otticamente in due il “Ritorno della cavalleria”(1888) di Giovanni Fattori, prezioso dipinto dalla prospettiva audace, in cui la scena ripresa dall’alto dell’avanzata frontale dei lancieri esprime le attese ottimiste dell’allora recente unità d’Italia.
Istanze tristemente passatiste quelle dell’arte classica, dunque, se il “taglio” dei due giovanissimi intende emblematicamente esprimere “le tante fratture sempre più evidenti nell’attuale panorama nazionale e mondiale”.
giusy caroppo
vista il 10 dicembre 2004
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