È un’istituzione dal 1971, la galleria barese. Tutta l’arte è passata da qui: quella blasonata -con nomi quali
Boetti e
Fabro,
LeWitt e
Kounellis– e quella emergente pugliese, ormai maturata sotto l’ala protettrice di Marilena Bonomo, al cui mecenatismo si deve la nota rassegna
Arte & Maggio; la donazione alla Sala Murat del
Wall drawing di Sol LeWitt, durante la collaborazione con Ludovico Pratesi; il vanto di antiche amicizie, come quella con Achille Bonito Oliva, che nel 1992 ne celebrò il ventesimo anniversario. In attesa di un nuovo evento istituzionale, se ne assaggia la ricca storia nella rassegna al secondo piano di via dell’Arca, strada che si fa pretesto delle trentaquattro opere esposte: solo animali per soggetto.
Molti gli artisti di area barese e meridionale: si va dalla delicatezza emotiva di
Agnese Purgatorio al segno dinamico, sorretto da un colore ridotto all’osso, di
Annalisa Pintucci; dalle metafore libertarie nella fotografia di
Angela Cioce agli archetipi da “realismo magico”, al limite dell’astrattismo, del compianto
Biagio Cardarelli; dalla tipica, goffa chimera in legno dipinto di
Franco Dellerba alla pittura classica e al segno forte di
Carlo Fusca; dalle illusioni percettive fatte di velature e sovrapposizioni di
Pippo Patruno alle trame delicate di
Paolo Lunanova o di
Giuseppe Caccavale, fino al grafismo ricercato di
Tullio De Gennaro.
Ma Galleria Bonomo significa anche contemporaneo appetibile, per un collezionismo che ama sia le trasgressioni ormai storicizzate che la cura artigianale e la multiculturalità: allinea, perciò, l’orientaleggiante gouache di
D.G. Choegyal Rinpoche, la crudezza degli scatti di
Carol Huebner Venezia o
William Wegman, una paperella di
Liliana Porter, una sfinge di
Kiki Smith, una lumaca di
Tristano di Robilant, un gatto di
Kazuko Miyamoto, ramarri-gioiello di
Maria Pertosa, oche della
Blondal, la “reliquia” di
Meret Oppenheim, una poetica testa di cavallo
nonfinito dello scomparso
Giacinto Cerone.
Sculture, ma anche tanti disegni, fotografie, tecniche miste, nel variegato
zoo: distinguiamo il cinghiale di
Ingar Krauss, i pulcini di
Ingeborg Lusher, la tigre di
Irene Kung, il picchio di
James Brown, le farfalle di
Matteo Montani, uno strano essere-contenitore di
Coralla Maiuri, le bestie selvatiche nella tundra di
Mario Giacomelli.
Autentiche chicche, un mosaico che racchiude tutto l’immaginario iconografico di
Mimmo Paladino, gli uccelli allineati su fondo giallo per mano di
Enzo Cucchi, un serraglio multicolor,
ordinato e disordinato, come consono all’autore
Alighiero Boetti, e un cervo a puntasecca del più puro dei
naïf,
Antonio Ligabue.