L’ambiguità della visione accresce la forza seduttiva delle immagini in questa doppia personale di Antonio Trimani e Kathleen Graves, uniti dalla tematica e dal comune contatto con
Peter Campus, pioniere della videoarte. Una mostra che allinea con rigore dinamici paesaggi digitali dell’italiano e fotografie composite dell’americana.
D’impatto le opere di
Kathleen Graves: “
donna e ambiente, quotidiano e intima gestualità” sono ritagliate in inquadrature che esaltano la formazione classica dell’artista (un Master of Arts alla New York University, dove insegna Digital Art Practice and Print). Dopo un esordio con la macchina analogica, l’americana si è convertita al digitale, non solo per la duttilità nella manipolazione e nell’ottimizzazione in post-produzione, quanto per la possibilità di stampare immediatamente con sofisticati plotter.
Le inquadrature tradiscono modelli di riferimento cinematografi (Graves condivide con
Sofia Coppola l’amore per il dettaglio), restando in bilico tra scatto da istantanea, messa in posa del soggetto e allusione ad ambiente e oggetti accostatigli; ogni scelta dell’abbinamento tra “motivi” nasce quando la supposta casualità dello scatto stampato sposa la sorpresa.
Il racconto fotografico è tutto al femminile, immerso in un’
allure vintage; anche dove le protagoniste vestono panni contemporanei, tra un particolare domestico, urbano o rurale, l’atteggiamento esprime un’arcaica compostezza. La temperatura del colore rende omogenee le raffigurazioni a coppia: caldo o freddo che sia, acido o smorzato, il tono amalgama gli stimoli visivi, anche grazie alla luce diffusa piuttosto che radente.
La relazione tra il soggetto – spesso assorto o sospeso, nello sguardo come nell’azione – e l’oggetto al suo fianco fornisce alle immagini uno strano appeal: tutto sembra paradossalmente costruito e insieme accidentale e magico; ancor più dove l’immagine risulta “mossa”, priva dell’equilibrio
di maniera, espresso appieno nella serie di scatti non esposti, ma visionabili in galleria, dedicati a Cuba e al suo mondo non convenzionale. Qui il preziosismo è potenziato dal supporto di stampa (100% cotone), che diluisce e opacizza l’“impressione”. Nel complesso emerge un implicito omaggio alla cultura sudamericana, anche figurativa, specie a
Frida Kahlo.
Se in Graves la poetica dell’oggetto emoziona più dell’elemento umano, quest’ultimo è del tutto assente nei video di
Antonio Trimani,
Pietra (2005) e
Fonte (2008). Memori della slow motion, accompagnati dalle musiche di Stephen Vitiello e Stephan Froleyks, offrono alla malinconia l’occasione di prendere il sopravvento sulla sottintesa felicità e di “interiorizzare” lo spunto visivo.
L’invito alla “pazienza” nell’osservare è debitore della tradizione in cui il video-maker s’inserisce: fondatore, come indipendente, dello studio di produzione Ethical Imaging, Trimani ha collaborato con
Bill Viola,
Vito Acconci,
Alvin Curran,
Studio Azzurro,
Gary Hill e
Peter Campus.
Le lente elaborazioni digitali, snaturalizzando paesaggi e architetture, li trasfigurano in mutazioni alienanti, visionarie, quasi psichedeliche nel primo video, e decisamente angoscianti nel secondo, dove la fonte d’acqua trascolora in un claustrofobico e tetro mare sanguinolento. Quasi a voler scoprire la “natura liquida” della nostra anima.