A sud di Roma, a Valmontone, esiste un luogo che nella storia e nella bellezza ha trovato le ragioni prime della sua esistenza. È Palazzo Doria Pamphilj, punto focale della cosiddetta “città panfilia”, estrema propaggine delle teorie rinascimentali sulla città ideale. Ad erigerlo nel 1651 fu Camillo Pamphilj, nipote di Innocenzo X, che desiderava farne la sua dimora extraurbana per sfuggire alle tensioni cittadine, ma la sua residenza, tuttavia, fu tutt’altro che saltuaria, configurandosi subito come stanzialità ad libitum. Un storia quella del palazzo scritta in grande da grandi, come rivelano gli ampi saloni, le cui volte conservano gli affreschi di artisti del calibro di Mattia Preti, Francesco Cozza, Pierfrancesco Mola, Gaspard Dughet ed altri noti e meno noti della scena romana di metà Seicento. I temi rappresentati sono le allegorie dei quattro elementi e dei continenti, gli stessi che hanno ispirato Monica Di Gregorio e Antonio Trimani, rispettivamente direttrice del Museo Civico valmontonese e artista-docente presso l’Accademia di Belle Arti di Frosinone, curatori della mostra “Microcosmo. Visioni di paesaggi contemporanei dal mondo”, attualmente ospitata nel palazzo. Titolo emblematico, scelto proprio in omaggio a Camillo che in quel luogo volle ricreare il suo personale microcosmo, interpretato però non in senso enciclopedico, da wunderkammern, ma puramente estetico, come idea generativa filtrata attraverso le larghe e sublimi maglie dell’arte. Quaranta gli artisti coinvolti, provenienti da latitudini differenti, chiamati ad rappresentare/interpretare un continente, non necessariamente quello di origine. Ciò che ne emerge è una serie di rimandi non troppo rigidi o scontati tra opere ed affreschi, continenti e elementi, geometrie del palazzo e composizioni espressive. Un gioco di specchi di cui offre una sintesi l’opera “Silenzi” di Emanuele Giannetti, posta ad inizio del percorso, al tempo stesso invito alla contemplazione e destabilizzazione percettiva. Scelta coraggiosa dei curatori è stata quella di associare artisti giovani a nomi storicizzati, da Bill Viola ad Emilio Isgrò, da Peter Campus a Alvin Curran, senza timore che gli uni potessero risultare compromessi dall’autorità degli altri, dando origine ad un’esposizione con un triplice livello di lettura, dall’intoccabile e altera perfezione delle pitture parietali alla costituzione in fieri della sperimentazione giovanile, passando per le ricerche consolidate dei maestri.
Ad accogliere il visitatore all’esterno è la grande installazione luminosa di Carlo Bernardini, vera e propria scrittura di luce imposta alla claustrale oscurità circostante, in un connubio passato-futuro di sicuro fascino. Superate la stanza del Fuoco e dell’Aria, rispettivamente decorate da Francesco Cozza e Mattia Preti, il percorso inizia mostrando subito la sua transterritorialità, con le opere non suddivise rigidamente per continenti ma affiancate in un allestimento osmotico in cui analogie e differenze territoriali si annullano nella varietà espressiva messa in campo dagli artisti. Ciò non toglie che ognuno di loro palesi nel proprio lavoro origine, interessi e ambito territoriale di ricerca. Emblematici in tal senso appaiono il “Seme di arancia” di Emilio Isgrò, nucleo generativo ma anche paesaggio in potenza, nato come omaggio alla Sicilia, terra d’origine dell’artista, ammirata e abbandonata, ma anche le foto di Chiara Arturo, in cui la riflessione sul luogo natio, Ischia, porta alla creazione di immagini introspettive e metafisiche, non stereotipate, estrema sintesi del concetto geografico di partenza. Oltrepassano il concetto di geografia inteso come luogo definito i lavori di Mat Toan e Maria Thereza Alvez. Il primo parafrasa l’immagine del deserto per riflettere sull’isolamento sociale generato dallo spasmodico utilizzo degli smartphone, la seconda invece associa al silenzioso paesaggio francese l’audio scomposto e assordante dei film di arti marziali, creando un insolito parallelismo ipermediale tra Bruce Lee e Honoré de Balzac. Natura non dissimile, seppur non erratico come i precedenti ma con una direzionalità ben delineata, si rivela anche “Lighting Strikes”, lavoro video del 2010 dell’artista anglo-etiope Theo Eschetu, rievocativo del trasferimento dell’obelisco di Axum sottratto al popolo etiopico dall’esercito italiano nel 1935, quale emblema della politica imperialista di Mussolini, e restituito solo nel 2005 in seguito a complesse trattative internazionali. Per il duo romano LU.PA, composto da Lulù Nuti e Pamela Pintus, la geografia non è il punto di partenza ma l’inaspettato punto di arrivo. Un groviglio di linee tracciate e cancellate su una parete bianca mobile rappresenta il risultato dell’azione performativa d’esordio del duo, “Olo”, un microcosmo in cui le due artiste hanno vissuto per 24 ore, mettendo alla prova la loro complicità e la loro resistenza fisica; quasi un rito catartico attraverso cui fondere le due individualità per dare vita ad un combinato paesaggio interiore. La consueta poeticità delle opere di Bill Viola informa anche il video “Earth Martyr”, parte di una serie di quattro martiri del 2014, uno per ciascun elemento, esposti insieme per la prima volta all’Auckland Castle, nei pressi di Durham, in Inghilterra, lavoro in cui l’artista americano, agendo con la consueta ambiguità temporale, sintetizza nell’immagine dell’uomo la potenza degli elementi naturali, tra generazione e martirio. Completano il percorso espositivo le opere di Patricia Claro, Angelo Maria Farro, Kathleen J Graves, César Meneghetti, Ernest Dükü, Ananias Léki Dago, Mohamed Keita, Joachim K. Silué Ouattara Watts, Bankeri, Iginio De Luca, Tiziano Doria, Gianni Lillo, Matteo Montani, Alice Paltrinieri, Mimmo Rubino, Donatella Spaziani, Jan Steklík, Antonio Trimani, Stephen Roach, Jon Rose & Hollis Taylor, Fang Shengyi, Liu Shangying, Suh Yongsun Wang Yu. Un percorso espositivo complesso in cui le opere sono chiamate ad interagire con lo spazio circostante per analogia, come il lavoro audio di Michael Snow, in cui il fischio d’assiolo riverbera la finzione del trompe l’oeil nel Salone del Principe del Dughet, o per opposizione, come avviene nell’incontro tra lo scomposto assemblaggio materico di Jimmie Durham e le regolari geometrie del palazzo. La mostra costituisce per il visitatore un risultato olistico che nella complessità d’insieme supera di molto la pregnanza speculativa di ciascuna opera. Materiali e territori si inseguono e si plasmano a vicenda visualizzando il lato migliore della globalizzazione, quello dell’incontro, che avvicina senza omologare, rivela senza snaturare.
Carmelo Cipriani
mostra visitata l’1 marzo
Dal 16 febbraio al 31 marzo 2019
Microcosmo. Visioni di paesaggi contemporanei dal mondo
Museo di Palazzo Doria Pamphilj
Via Nazionale, 16, 00038 Valmontone (RM)
Orari: dal lunedì al giovedì, dalle 9.00 alle 13.00; venerdì, sabato, domenica dalle 9.30 alle 13.00 e dalle 15.30 alle 19.00
Info: Tel. 06 95990211-06 95990277
cultura@comune.valmontone.rm.gov.it, www.comune.valmonotne.rm.it