Centoquattro soci e partner; novecento artisti e creativi tra i 18 e i 30 anni, provenienti da quarantotto Paesi dell’Unione Europea, dei Balcani, del Medio Oriente e della Riva Sud del Mediterraneo; 10mila metri quadri di spazio per circa duemila produzioni artistiche; costo due milioni di euro, cui hanno contribuito le casse regionali.
Quale rapida sostituzione di Alessandria d’Egitto, il presidente della Bjcem Luigi Ratclif, di origini pugliesi, individua Bari. La Puglia appare infatti perfetta per l’occasione: l’Assessorato alle attività culturali coincide con quello al Mediterraneo -presieduto da Silvia Godelli-, peculiarità della Regione è l’essere ponte verso Oriente, terra di multiculturalità e integrazione. Per quest’evento, particolarmente ospitale, avendo accolto gli “zingari” del teatro
Rom Cabaret o cineasti kossovari (
Ags Group) insieme a videoartisti serbi (
Prnjat Danilo).
Il volto più innovativo della Bjcem barese è stato offerto proprio dal teatro: la compagnia danese
Runatic Dance Theater, le coreagrafie di
Runa Kaiser accompagnate dalle immagini di
Pernille Pultz; la
dance-tech del portoghese
Rodolfo Quintas e degli
Swap-Project, con computer grafica, in contrasto con i neoclassici ballerini albanesi dell’
Accademia di Tirana; la gestualità della compagnia egiziana
Adham Hafez e l’umanesimo tecnologico di
Oriana Haddad; la jazz-dance neominimalista dei croati
Prostor Plus e la parodia della break-dance degli estoni
D2D, i balletti astratti del polacco
Eryk Makohon e la provocazione dei greci
Alogi, travestiti come i prigionieri di Guantanamo e impallinati come anonimi bersagli.
Tralasciando il gusto del palato, solleticato dai creativi della cucina, le sfilate di moda e i workshop, ci si può soffermare sulla più recente ricerca giovanile nel campo della “visual art”, illustrata da un allestimento un po’ troppo grigio e ortogonale, fieristico insomma. Un’arte che, sebbene rigorosa -ottimi materiali, ottimo “confezionamento” delle opere-, è pur sempre “giovane”, aperta al cambiamento che il Kairos promette. Ma dove sono le “radici” di ognuno? È un percorso che sembra voler confermare che la globalizzazione abbia ormai annientato l’identità locale? Questo un po’ spiace.
Cerchiamo così di rintracciare le radici di molti nel mix espositivo, tra fotografia e video fatti d’introspezione, ingiustizie sociali, storia contemporanea in diretta:
Douibi Souad con le immagini televisive omologanti da Palestina, Iraq, Libano; la cronaca di
Umut Sakalliogu in
Miting/Rally; le donne come fantasmi di
Dahlia Refaat; i paesaggi di
Suad Nofal dalla Giordania, come quelli di
Sofia Berci giunta da Budapest, che riecheggiano i desolanti spazi di
Lida Abdul.
Tragedia che diventa “colore” nelle belle foto di
Lorenzo Pondrelli, lavoro dell’uomo che diventa luce negli scorci industriali di
Emanuel Borcescu, paesaggio che sfuma nella suggestione cromatica delle calde immagini di
Felicidad García Sánchez e quelle fresche di
Ramona Gliga come i ritratti dei
Teenagers of our days di
Alia Bakutayan.
La Puglia ha contribuito alla riflessione con la straniante proiezione della biscegliese
Lucia Leuci:
racconto incrociato delle storie finali di Augusto Pinochet e Saddam Hussein, per la voce della verità di una bambina in abito da prima comunione; malinconico come il video musicato di
Leonard Qylafi e i disegni policromi di
Mohammed Ahmed Hawajri.
Tematica ricorrente è la casa, persa, ritrovata, immaginata: si fa abito-dimora o
abitabito per
Manuela Mancioppi; narrazione, attraverso il disordine di un interno, nei garbato disegno sfumato di
Elina Ioannou; diventa allegro palazzo in pvc costruito da
Amra Heco; la casa viene rivisitata in chiave fantastica da
Matthew Atkinson o nei paesaggi sconnessi dal colore falsato di
Eduardo Dantas Casado.
Eppure, il colore è quasi un optional. Prevalente è la grafica monocroma: fatta eccezione per le delicate nuance dell’arcinoto
Valerio Berruti , in bianconero sono le litografie di
Marta Zuravskaja, le sagome optical di
Elif Susler, i grovigli grafici di
Pierluigi Lanzillotta, l’espositore di cartoline e ritagli di
Lina Rica, i fumetti di
Vančo Rebac o le caricature grottesche di
Lucas Lucas Almeida,.
Tra le installazioni, da segnalare le imponenti torri in cialda di
Michele Giangrande, il
Semi gioco tra pupazzi disabili di
Nero – Alessandro Neretti, la leggera Arte Povera di
Isola & Norzi.
Tra le performance, quella interattiva, con i visitatori chiamati a urlare in un microfono per far saltare il personaggio in video, progettata da
Pierre Andrieux; un
déjà-vu (ricordate
Gligorov?) la piramide di zerbini sormontata da
Mara Maglione. Fra le installazioni, la più raffinata e complessa è quella di
André Sier; tra le sculture, by
Yasam Samazer l’urlo di
Oglan; tra gli interventi estemporanei, quelli da street art di
dott. Porka’s P-Proj & men in white (Zoka’n’Zioid); tra gli oggetti di design,
Safe In, contenitore per organi da trapiantare di
Ana Cristina Amil; tra le proposte più divertenti, i pupazzi in scatola
simil Play-Mobil di
Tamara Piña García o l’artista “transgenico”, il
GFP/Clone di
Gianfranco Pulitano; tra i video, spensierati i personaggi in bombetta di
Arturo Fuentes.
Così si tirano le somme, molto positive per affluenza di pubblico. E se le curatrici per la sezione pugliese, Antonella Marino e Marilena Di Tursi, insieme all’architetto Antonella Mari, si dicono soddisfatte per l’esperienza di convivenza e scambio, Nichi Vendola ricorda nostalgicamente la prima edizione a Barcellona, “
una città che identifica la libertà”, un’esperienza giovanile che gli “
ha cambiato la vita”. Per il Presidente della Regione, anche la tappa barese dovrebbe rappresentare “
come un seme buono, perché abbracciare la cultura nella diversità ci salverà. In fin dei conti, il mondo ha bisogno di essere rifencondato”.