Quella del Premio Michetti non è una mostra generica, ma “caleidoscopica”. Così la definisce il curatore Luciano Caramel. Primo, perché ponte di confronto tra l’arte e il suo nuovo contesto -il tanto citato glocal– che ha radicalmente sfaccettato la società contemporanea; secondo, perché capace di mettere in risalto quella multidimensionalità che caratterizza il globalismo. L’avvento delle tecnologie digitali, la rapidità delle informazioni, l’esplorazione di nuovi spazi (come quello web) non hanno infatti semplicemente annullato le distanze, ma trasformato del tutto la percezione soggettiva. Ed ecco che sorge spontaneo il confronto con maestri come Nam June Paik, Alberto Biasi, Fabrizio Plessi, James Turrel, tra i primi a cimentarsi con il mondo telematico, assorbendone i meccanismi. Le videoinstallazioni di Plessi (Mare orizzontale) o i rilievi “cinetici” di Biasi (Dinamica triangolare, 1965–77), non sono altro che studi sulla percezione, e ad essa stessa si rivolgono, proprio come fanno i media. Accanto ai maestri, in un continuum di poetiche e di linguaggi, esposte le opere dei cinquanta artisti partecipanti al Premio, visionati da una giuria composta da Philippe Daverio, Vittorio Fagone, Lorenza Trucchi e Vincenzo Centorame. I vincitori sono stati due, ex aequo: Marc Didou (Signe de l’autre 1, 2002- 04) e Walter Valentini (Nella volta celeste ora appare, 2005). Didou per aver saputo coniugare una tecnica tradizionale come l’anamorfosi (usata fin dal Rinascimento) a procedimenti della tecnologia elettronica più avanzata. Valentini, che, capace di estendere la dimensione del campo
Una mostra tutta da scoprire, che non esclude lavori atipici come il progetto “polemico” del gruppo 0100101110101101.org (Nikeground, 2003) o quello di Marco Cadioli (Five questions to Lucy, 2005), dove alla domanda “is there life after death?” Lucy risponde compiaciuta “only for software”. È davvero questa la nostra condizione? Siamo davvero tutti robot? Se l’arte non è in grado di dare risposte definitive, è sicuramente in grado ancora di stupire talvolta, facendoci vivere come in un piccolo sogno. E la leggerezza poetica di Maria Luisa Tadei ne è la dimostrazione. Equilibri (1996) è un’opera sottile, che sembra quasi restituire allo spettatore quell’energia cosmica di cui spesso l’uomo contemporaneo viene privato.
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