Perugia celebra un grande maestro del Rinascimento italiano. E, al contempo, celebra se stessa, quale teatro di una straordinaria congiuntura artistica che ha accompagnato il capoluogo umbro negli anni a cavallo tra il Quattrocento e il primo Cinquecento.
La mostra
Pintoricchio, dedicata all’omonimo pittore umbro, rende omaggio all’artista e, al tempo stesso, propone una curata rassegna della produzione pittorica di quel tempo attraverso le opere di vari artisti originari del territorio, tra cui
Fiorenzo di Lorenzo,
Piermatteo d’Amelia e
Benedetto Bonfigli, oltre alle due tavole del
Perugino (
Cristo in Pietà) e di
Raffaello (
Busto di un angelo), messe insieme per testimoniare la congiunzione artistica fra i tre maestri, agli albori del XVI secolo. Quando il
Pintoricchio (Perugia, 1458 – Siena, 1513) godeva ormai di una certa fama -specie dopo aver realizzato una serie di opere durante il pontificato Borgia, affidategli da papa Alessandro VI- e il più giovanissimo Raffaello veniva già considerato degno di importanti incarichi.
Un allestimento d’eccezione nella rinnovata Galleria Nazionale dell’Umbria, a Palazzo dei Priori, ripercorre la formazione e la consacrazione di
Bernardino di Benedetto di Biagio -questo il vero nome del Pintoricchio- nell’anno della celebrazione del 550esimo anniversario dell’artista, vissuto all’ombra del più rinomato Perugino, ma considerato ora il simbolo della città. Tra le opere proposte, si ripetono le raffigurazioni della
Madonna con il bambino, eseguita in varie tavole, in genere su commissione, e spiccano alcune opere più ricercate, come le otto tavolette realizzate per gli sguanci di una nicchia e riproposti in una spazio simile alla destinazione originale al fine di valorizzarne l’effetto.
Nell’ampia rassegna monografica sono esposte quasi tutte le opere mobili esistenti di Pintoricchio: alcune di queste mai viste in Italia, come il piccolo
Ritratto di giovinetto, primo ritratto eseguito dall’artista in gioventù, conservato al Brooklyn Museum di New York, insieme a un’importante selezione di opere coeve. Con un effetto scenico che ne esalta la fattura e ne risplende i preziosismi tipici del maestro umbro, come i tocchi dorati ricorrenti sulle tele a tempera, che usava per “
soddisfare alle persone che poco di quell’arte intendevano”, ricordava Giorgio Vasari, “
dando maggior lustro e veduta” all’opera.
Otto sezioni distinte che accompagnano il visitatore verso un ritorno al Rinascimento, culminando in una ricchissima raccolta di disegni di vari artisti, dove trovano lustro gli studi preparatori del Pintoricchio, insieme a vari disegni dell’antico, proposti come vera testimonianza del periodo storico. Un excursus che si completa con una sezione distaccata della mostra, allestita a Spello, all’interno della “Cappella Bella” della Collegiata di Santa Maria Maggiore (nome “popolare” assegnato alla Cappella Baglioni), dove risiede un ciclo di affreschi considerato tra i più grandi capolavori dell’artista.
Dopo oltre trent’anni di carriera, il Pintoricchio muore malato e solitario. Triste fine di un artista “
sordo, piccolo e di poco aspetto”, come lo ricordano i biografi, ma dall’opera grande. Che risplende dopo oltre cinquecento anni.