Il luogo è la mastodontica Ex Manifattura Tabacchi, da riqualificare con funzione ricreativa e sociale. Il curatore è Mirella Casamassima, un’outsider. L’artista è Francesco Schiavulli, il “misuratore di orecchie” della grande istallazione parietale e multimediale al Fortino di Bari. Questa, perciò non può essere un’esposizione canonica. Semmai è una performance partecipata, un invito a vivere sensazioni perdute, delle quali Schiavulli stesso cerca di riappropriarsi. “C’era uno scoglio a Torre a Mare, sul quale, quando ero piccolo, mi rifugiavo, era uno scoglio obliquo, a picco sul mare; io mi adagiavo su esso, i piedi per aria aggrappati a uno sperone di roccia, la testa in giù. E guardavo….”
Inizia allora a selezionare ricordi sensoriali e mentali che la disattenzione all’attimo, nella vita quotidiana, annienta: la schiena inarcata, gli spuntoni nelle carni e tra le ossa, il sangue alla testa, le lacrime di gioia o di rabbia, la pelle d’oca, il buio, gli odori naturali. Sensazioni non sempre piacevoli, mescolate alla malinconia, primordiali ed istintive, riprodotte dall’artista strutturando strani, arcaici ed ingombranti marchingegni: macchine celibi, disegnate e progettate in miniatura poi ingigantite. Di ognuna, meticolosi schizzi alle pareti.
La meno stravagante è la scala –e la più salutare, stando alle promesse di alcuni attrezzi ginnici per invertire la pressione sanguigna– a mo’ di ghigliottina con manovella, in legno grezzo, ispirata alla struttura dei piedistalli delle “madonne in trono”. Lo scoglio, permette di restare leggermente in pendenza e a testa in giù, al limite della perdita d’equilibrio.
La stanza ha una struttura a forma di parallelepipedo cavo, che ingloba il busto e ci immerge nel buio e silenzio più totale, nelle narici l’odore del legno. La culla è un oblò in doghe di legno, tanto angusto da costringerci ad una posizione fetale.
Le sensazioni stimolate sono spesso irritanti e le soluzioni sono ingegnose quanto semplici: nella macchina del pianto sono poste ai lati degli occhi, cipolle urticanti mentre la pelle d’oca è provocata dalla fitta trama del velluto.
Un inedito strumento musicale è composto da un gigantesco rocchetto dai cento fili di naylon, tesi e pronti a modulare melodie fantastiche. La macchina della danza costringe a mantenere un’innaturale postura della disciplina artistica -che Schiavulli, ex ballerino classico, conosce bene- mediante due “maniche” in legno dotate di “mani”. La macchina del ventaglio obbliga alla faticosa inarcatura a ponte della schiena. Questo attrezzo, opportunamente montato su ruote, per più di un anno ha trasportato l’artista -cavia di sé stesso- per il lungomare di Bari: a spingerlo l’amico marocchino. Un documento video, girato da Vito Signorile, racconta lo scorrere delle stagioni e le variazioni atmosferiche di questa performance in itinere.
Un viaggio instabile a testa in giù, quasi umiliante, spunto per ridimensionare l’arroganza dilagante -come ricorda Tu non vali niente, un altro aggeggio che proprio inutile non è- e per sottolineare che oggi la precarietà è, purtroppo, una costante. Ma Schiavulli addolcisce la pillola, accarezzando delicatamente chi si sottopone alle sue avvincenti torture.
giusy caroppo
mostra visitata il 1 ottobre 2005
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