Il progetto della mostra 13X17 è nato come reazione spontanea all’esclusione dell’Italia dall’ultima Biennale di Venezia. I curatori MoCeri e MoCisarai, Cristina Alaimo e Elena Agudio, con altri allestitori e organizzatori, hanno lanciato una campagna umanitaria per curare la Biennale, malata di americanizzazione e ammorbata da lobby finanziario-culturali. Al grido di Esserci!, hanno chiamato a raccolta, attraverso un proclama diffuso con i mezzi mediatici, tutte le forze artistiche del Paese affinché portassero il loro contributo alla missione. La raccolta firme visive ha fatto il miracolo: il Padiglione Italia esponeva ottocento opere di artisti noti e sconosciuti, in giugno-luglio a Venezia, nella chiesa di San Gallo. Affollavano la chiesetta veri e propri ex-voto dalle scaramantiche misure (13X17), piccoli doni per la grazia ricevuta con tanto di Santo protettore, Philippe Daverio, che ha appoggiato il progetto sin dall’inizio.
Il risultato di questa “operazione a cuore aperto” (Daverio) è un affascinante mosaico che si arricchisce sempre di nuovi tasselli, visto che l’opera devozionale attraversa la penisola fermandosi in particolare nei luoghi ai margini del sistema dell’arte, come Potenza, ivi raccogliendo nuove testimonianze. Il ritratto dell’arte italiana che sta emergendo è quello di una situazione vitale, multiforme, legata al suo grande passato ma anche ricca di fermenti, aperta alla sperimentazione ma anche fedele alla tradizione artigianale. La parte più consistente di opere è quella in cui è avvenuto quel magico incontro tra antiche tecniche e nuove idee, con materiali di ogni tipo trasfigurati al servizio di un concetto.
Due grandi sperimentatori della materia, Jannis Kounellis e Giosetta Fioroni che omaggiano il progetto con due deliziosi disegni ben auguranti, sono gli ispiratori di questa galleria di opere che utilizzano con grande perizia artigianale i materiali più disparati. Dalla coloratissima e morbida cera d’api, alla ricerca di un dialogo col mondo naturale (Attilio Tono), alla pupilla biomorfica di plastica di Jacopo Foggini. Dalle delicate trasparenze di stoffa sul nudo femminile, memori della pittura veneta, di Laura Panno, agli umili strumenti del lavoro domestico, filo e rocchetto, per l’ironico ritratto di donna di Clemen Parrocchetti.
Attente all’uso della materia in rapporto dialettico con lo spazio/luce le opere di Marinella Pirelli, un trasparente ‘disegno di luce’ su vetro, e Nanda Vigo, un’aggettante piramide di specchi che reinventa e moltiplica prospettive e punti di vista. I materiali di scarto vengono poi nobilitati dall’ironia dell’ omino di pillole per la cura dell’arte di Giuseppe Antonello Leone, o dalla pregnanza simbolica di oggetti inutili trasformati in misteriose sculture di luce da Giovanna Lupi.
Da questa ricognizione caleidoscopica dell’arte italiana di oggi emerge anche la riflessione dell’artista sulla sua posizione nella società, tema particolarmente sentito a causa della crisi dell’arte e dell’incomunicabilità tra chi produce e chi promuove l’arte nel nostro paese. Un esempio su tutti l’autoritratto del siciliano Momò Calascibetta, artista titanico e indignato, dalle figure tormentate nella carne e consunte da un fuoco interiore, dalla pittura ribollente e disfatta.
Si distinguono per bellezza i paesaggi, resi più preziosi dal formato reliquia: quello visto dall’alto di Bernardo Siciliano, dalla costruzione di linee-luce-colore quasi astratta, alla Fattori, il lirico, suggestivo paesaggio su carta da lucido di Clara Matelli, l’inconfondibile blu-verde della visione ipnotica di Francesco Cervelli, il desolato ritratto di un luogo agonizzante in una luce terribile di Giuseppe Bartolini, la surreale cartolina dadaista di Gianni Ansaldi.
A Potenza nuovi ex-voto (più di mille) si sono aggiunti al sacrario da parte degli artisti del luogo (Michele Santarsiere, Massimo Lovisco, Marcello Samela, Francesco Mestria e altri) a testimonianza di una scena artistica vivace anche in provincia.
Emblematica dell’intero progetto è l’opera di Gretel Fehr, una donna tutta coperta da un velo tranne per lo sguardo, acceso ed estasiato dall’immagine della Gioconda, simbolo dell’arte italiana, oscurata e ridotta al silenzio ma intimamente viva e desiderosa di esprimersi come, quasi per inclinazione naturale, ha sempre fatto.
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barbara improta
mostra visitata il 15 febbraio 2006
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Ci sono anch'io nel 13x17 e tanti altri! Eheh :D