Quarant’anni di attività di Mario Ceroli a vent’anni dalla mostra al Forte di Belvedere. Il curatore Enrico Crispolti li ha sintetizzati in ventisette significative sculture e installazioni, molte della collezione di Roberto Casamonti, distribuite su due piani del Castello Svevo di Bari.
Esploso a metà degli anni ’60, “il falegname” dell’Arte povera -com’era definito sarcasticamente per l’univoco uso del legno (il pino di Russia) e per le forme facilmente riconoscibili (sagome bifacciali, figure geometriche, lettere, numeri) dal gusto
Significativa La Cina del ’66 -dai moduli ripetuti ma concettuale (la folla, la schiera, espressioni dell’ideologia di massa)- e Gloria eterna ai caduti per la pittura del ’72, ironica celebrazione dei luoghi comuni del mondo dell’arte. Progetto per la pace e per la guerra ideata nel ’69 (bandiere bianche alte 4 metri impiantate nel cortile del castello) è metafora della semplicistica “reversibilità delle immagini” (Crispolti). Meno cerebrali, espressamente scenografiche, le opere del ciclo del ’65 Le piazze d’Italia, Il balcone, La scala: annunciano l’impegno dello scultore nel teatro e nel cinema, con Ronconi, Bolognini, Patroni Griffi.
Qui, “spettacolarizzazione dell’evento plastico” nella Battaglia (78/79) -dove spicca “la bandiera rossa” dialogo visivo con Paolo Uccello e concettuale con Pasolini- e nei “personaggi totemici” (L’Angelo ferito, 1999), aggressivi e provocatori,”nuovo balletto meccanico di futuristica memoria“.
L’infelice collocazione di “Sesto senso” -disturba la luce delle lampade riflessa sul
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