Lontana, in fondo a un sala lunga e bianca, una silhouette di corpo femminile color ambra si disfa in una catena di segni, di graffi, di sprazzi luminosi su una tela scura che diventa sempre più grande, con il colore sempre più spesso. La figura a una maggiore vicinanza prende corpo, significante e significato si fondono, il segno diventa presenza. Questa è la cifra della mostra personale di Dario Pecoraro, a cura di Andrea Bruciati a Mestre, in via Torino.
Le Reginae del titolo sono donne–segno; diventano pure presenze materiche, attraverso un processo di trasfigurazione che tradisce la figurazione. Dario Pecoraro dichiara amore per la pittura milanese dell’avanguardia novecentesca, ne raccoglie l’eredità declinandola in chiave intima, poco prima che il giorno inizi, o che la notte cali. Al tempo dei pixel non c’è modo più naturale di rappresentare il mondo e il mistero del mondo che il nudo femminile.
A volte quasi facendo il birignao, esagerando nella vicinanza, rischiando o cercando il verso grottesco a quei gesti tra scapigliatura e informale.
Non ha paura di avvicinarsi, di entrare nel nero e metterlo sulla tela, ma non ha paura a raccontare questo viaggio nel segno e nella pittura al limite del gesto scultoreo e della composizione, pronta a disperdersi nei pixel o nei graffi.
I formati vanno perciò dal grande al piccolo, il tempo di esecuzione può essere lungo o breve, dallo schizzo alla grande tela a olio, è il gesto a essere coerente e aderente al corpo, in una lingua che suona per questo sempre o mai nuova. Come in un nuovo medioevo oltre il digitale, in un primitivismo oltre il post-moderno.
Questa figurazione ambigua suona come una de-composizione figurativa, in cui i colori sono giocosi, tradiscono la frequentazione dello spazio dei pixel perché il colore primario è sempre un po’ carico o un po’ meno carico; accostato con coraggio a qualcosa che lo contraddice, lascia spazio a una sfumatura fuori luogo. Il gioco è rischioso, i puristi potrebbero arrabbiarsi, i cultori dell’avanguardia storcere il naso, gli amanti del figurativo uscire annoiati. Intrapresa questa strada resta l’iconoclastia oppure la resa al gusto corrente per opportunismo. Io tiferei per la prima opzione.
Per scelta la galleria mestrina segue i nati in una decade, una generazione, i nati negli ottanta. Una scelta che vuole essere speculare alla posizione defilata ma in un punto in piena trasformazione della laguna di Venezia, dove prima erano le officine e i depositi della ferrovia, oggi loft gallerie e darsene. Con lo sguardo e l’approdo rivolto alla laguna e i piedi ben saldi sulla terra ferma. Nelle intenzioni dei galleristi prende forma la volontà di coltivare collaborazioni e voci di artisti e curatori che siano presenze stabili da seguire, vivendo lo spazio della galleria con l’attitudine di un giardiniere più che di un imprenditore o di un tessitore di relazioni. A introdurli è Andrea Bruciati; come Antonio Porta negli anni settanta con i poeti, Bruciati sembra ritagliarsi questo ruolo di soglia, aprendo strade e percorsi, facendosi porta, appunto, dei mondi disparati di giovani artisti e galleristi che vogliano dialogare con loro.
Irene Guida
Mostra visitata 14 ottobre 2013
Dal 25 ottobre al 6 dicembre 2013
Dario Pecoraro – Reginae
a cura di Andrea Bruciati
Galleria Massimo De Luca, Via Torino 105/q Mestre.
Orario: dal lunedì al venerdì 10-17, sabato su appuntamento