Ortus latis, ortus conclusus, freschi boschi. Giardini e orti botanici diventano sempre più spesso luoghi privilegiati per l’arte. Ma se questo avviene in una delle città-simbolo della speculazione edilizia, sembra quasi di entrare in un mondo a parte. Qui Il Giardino dei Tempi si offre come incantevole culla della giocosa mostra <>Bosco di fate a cura di Lucia Anelli, una location insolita -come lo era stato il sito di Canne della Battaglia-, un connubio che esalta interventi artistici spesso semplici, tuttavia suggestivi.
Nato da un’idea di Ferdinando Valenzano, Il Giardino dei Tempi è il più grande orto botanico privato italiano, esteso per 30.000 metri quadrati, una struttura pensata anche per accogliere eventi.
Il fiore all’occhiello è rappresentato dalla collezione di piante tropicali e grasse, in una grande serra: accanto ai cactus, ci imbattiamo nella loro gemella diversa, la “natura viva” di Pino Caputi, tre metri di legno e silicone, una piramide sintetica ricoperta da un brulicante esercito di formiche. Inoltrandoci, allo sguardo si offre un universo allegro, dove il verde di fondo deve aver spontaneamente ispirato creazioni spensierate, senza alcuna implicazione concettuale che non sia quella immediatamente leggibile, grazie alla forza del colore, o esplicitamente allusiva al mondo favolistico. Come l’installazione Dov’è Eolo di Paolo de Santoli, a metà strada tra design e decorazione: una serie di coloratissime sedie-satellite sparse sul prato. Fanno dapendantalle lumache a pois di Raffaele Fiorella -giovane artista pugliese che strizza l’occhio all’universo fantastico di Tim Burton– e ai bulbi oculari policromi di Lara Urso. O, ancora, alle bamboline abbarbicate su palline da golf, sovrastate da una Magda Milano, novella Alice prigioniera di una sfera in plexiglass.
Il divertissemant si ripropone nei travestimenti della performer Patrizia Piarulli, nelle stele in cemento ed acrilico, effetto parco-giochi, di Quetzal e nella piattaforma di Giulio Giancaspro Fate come (to) me (titolo frammentato sulle facce del dado), un gioco da tavolo cui fa da pedina una flessuosa oca di ghiaccio, splendida opera effimera. In linea con le proprie tematiche (“identità-identificazione”) e con l’uso della carta di giornale quale medium preferito, l’architetto e gallerista Franco Altobelli invita alla riflessione sull’iconografia massmediale con un Fate vobis, dove le creature delle favole sono volti rubati alle riviste glamour, mentre l’imperativo latino lascia assoluta libertà di commento.
C’è poi chi sceglie di farsi trasportare dagli elementi naturali, che modificano la struttura delle cose e delle opere: la presenza impalpabile della scultura in lycra di Rosemery Sansonetti, che sospira con il vento, gli acquerelli pendenti come frutti, voce silenziosa degli alberi per Daniela Galeone, i malinconici e galleggianti volti-ninfee di Guillermina De Gennaro, che cerca di piegare la forza della natura dolcemente, con la forza dello sguardo (Fuerza en tus ojos).
giusy caroppo
mostra visitata il 17 settembre 2006
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